L’opera grafica: il teatro della memoria

a cura della redazione

L’arte della grafica, nata in occidente nel XV secolo quasi contemporaneamente al libro a stampa a caratteri mobili, deve l’impulso principale al suo sviluppo proprio a quest’ultimo, e all’esigenza da parte di una nuova classe mercantile e borghese di appropriarsi velocemente di nuove nozioni atte inizialmente a far crescere nuove economie, che presto andranno invece a regolare nuovi costumi sociali e culturali. L’invenzione della stampa a caratteri mobili porta il nome di Johannes Gutenberg, e allo stesso modo della stampa calcografica, è una delle prime e più importanti forme di produzione in serie.

unnamedLa calcografia sembra non vantare tanto nobili natali, perché non porta un nome preciso, ma ciò deriva dal fatto che è una società ampia e diffusa ad appropriarsene, e consiste nella lavorazione di una matrice, incisa manualmente al fine di poter essere utilizzata per trasportare il soggetto su un foglio attraverso l’uso di un torchio. Una lavorazione derivata direttamente dall’esperienza degli incisori di metalli pregiati.

Come ricorda Michael Clapham nel suo saggio “Printing” (edito in A History of Technology, Vol 2. From the Renaissance to the Industrial Revolution, a cura di Charles Singer et al., Oxford 1957, p. 377), «Un uomo nato nel 1453, l’anno della caduta di Costantinopoli, poteva guardarsi indietro dal suo cinquantesimo anno di una vita in cui circa otto milioni di libri erano stati stampati, forse più di tutto quello che gli scribi d’Europa avevano prodotto dal momento che Costantino aveva fondato la sua città nel 330 d.C.». E il libro diventa la memoria di un’intera civiltà.

Se i primi libri stampati, i singoli fogli e le immagini che furono creati prima del 1501 in Europa, sono noti come incunaboli, sarà con la calcografia (tecnica che utilizza il metallo, principalmente rame e zinco. In questo caso l’incisore lavora in incavo, cioè scavando nel metallo il disegno da stampare), che si affianca alla xilografia (detta anche silografia, che presuppone l’uso di una matrice in legno, che l’incisore lavora a rilievo, cioè togliendo la parte che non deve stampare, realizzando in questo modo un supporto che presenta il disegno in rilievo) proprio all’inizio del XVI secolo, ad avere il salto che porterà il libro a essere l’oggetto di uso e consumo quale si presenta a noi oggi.thumb

Questa “modalità d’uso” il libro la assume precisamente nel XVII secolo, quando il Razionalismo moderno farà la sua comparsa attraverso l’opera di Galileo, Cartesio, Hobbes, Bacone, e molti altri pensatori che nel pensiero trovano il mezzo per giungere alla verità.

Ma è proprio nella capacità della grafica di tessere inscindibilmente pensiero e memoria, che il seicentesco “teatro cartesiano” prende forma, per arrivare fino a noi, con visioni che si trasmettono e si ravvivano, di generazione in generazione.

http://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/edgardo-travaglini-amore-calcografia-1.1593780

Per gentile concessione di Giovanni Lani, redattore del quotidiano il Resto del Carlino, proponiamo una sua intervista video ad Edgardo Travaglini:

Alla soglia degli 82 anni, l’artista nato a Fano ricorda l’epoca della Scuola del Libro. L’autore si è sempre ispirato alle decorazioni del Palazzo Ducale di Urbino, dove aveva sede la Scuola del Libro

Pesaro, 22 dicembre 2015 – Edgardo Travaglini, classe 1934, è tra gli ultimi testimoni della incredibile stagione del dopoguerra della Scuola del Libro di Urbino. Oggi, col rimpianto di non riuscire fisicamente a incidere ancora, vuole raccontare alle nuove generazioni la sua esperienza straordinaria accanto a Maestri di grande spessore e nel video pubblicato nel nostro sito narra con la sua viva voce l’esperienza di una vita trascorsa sognando la perfezione del segno.

«Il mio primo impatto con l’arte è stato al Palazzo Ducale di Urbino – racconta –, dove guardavo e non pensavo. Incameravo le immagini del Palazzo senza rendermi conto di quel che accadeva. Ero un giovane che pensava anche ad altre cose, non solo all’arte. Ma così, senza volerlo, ho iniziato ad assimilare delle immagini del Palazzo Ducale, dai classici torricini al cortile e tutte le decorazioni, in particolare i camini, come quello della Jole, degli Angeli, e poi la Porta della Guerra. Pensavo alle botteghe del ’400».

Erano solo decorazioni?

«La simbologia che ornava il Palazzo mi attirava e ho cominciato ad osservare bene queste immagini. Ma le cose si sono sviluppate dopo».

Quando? Come?

«Tenete conto che sono nato nel 1934. A Fano, in via Nolfi. Nel 1952 sono andato a Urbino e ho iniziato a frequentare la Scuola. E’ stato solo nel 1965, dopo dieci anni, che tutto mi è ritornato fuori».

Di chi il merito?

«Sicuramente degli insegnanti che voglio ricordare: Castellani, Carnevali, Ceci, Sanchini. Mi avevano trasmesso il gusto della Scuola del Libro. E così mi buttai sull’incisione».

Chi l’ha influenzata di più?

«Forse Castellani. Non è che mi seguiva. Voleva che facessi un po’ col suo stile tratteggiato. A me però piaceva fare altro. Nel 2004 mi fece visita Carlo Ceci che mi disse: “Guarda non è che quello che dico io è sacro, ma quello che fai, non ha riscontri con altri artisti. Vai per conto tuo”».

Travaglini frequentò la scuola negli anni Cinquanta, il riconoscimento nel 2004 seppur tardivo era quello che si aspettava.

«Tutti gli studenti erano legati alla Scuola, che era il fulcro di tutti i nostri interessi, era un posto dove incontrai persino Anselmo Bucci tra il 1953 e ’54».

Come iniziò a stampare? I torchi erano costosissimi.

«Il mio torchio è nato un po’ in modo anomalo. Non avevo i soldi per comprarlo e allora all’inizio utilizzavo quello dell’amico di scuola Spallacci. Poi grazie a un bravissimo docente dell’Istituto d’arte a Cagli, riuscii a farmene costruire uno. A Cagli c’era la sezione del ferro, erano bravissimi. Col docente andai a casa dell’artista Piacesi. Io parlavo e lui osservava il torchio. Lo guardò così bene che poi lo copiò identico col ferro che gli procurai io».

E così iniziò a stampare da sé.

«Esatto. Avevo il mio torchio. Da allora ho iniziato a incidere, stampare e sviluppare la tecnica del colore, fatta mettendo appositi inchiostri nella medesima matrice».

Chi ricorda con nostalgia tra i docenti?

«Pietro Sanchini ci diceva come impostare i libri, e da lui ho avuto molto. Quando avevamo l’ora dedicata alla storia del costume con Francesco Carnevali, lo ascoltavamo attenti, aveva una voce così particolare che addirittura cambiava nel timbro quando rappresentava, magari, una dama. E poi Renato Bruscaglia è stato un grande insegnante che ci ha dato tantissimo nello studio della figura. Ma alla fine fondamentale fu frequentare la Scuola dentro il Palazzo Ducale di Urbino».

Ed oggi cosa fa?

«L’amore per l’incisione rimane per sempre. Purtroppo per l’età mi sento un po’ in difficoltà».

E così tutti i giorni Edgardo Travaglini torna nel suo studio che si trova a Pesaro, a rivedere le sue opere complesse che sembrano pensate nel ’400 alla Corte di Federico.