Guglielmo Ciardi (Venezia 1842 – 1917)

Franca Lugato

(Articolo in attesa di completamento iconografico)

Dal “ritratto” di Guglielmo Ciardi che Ugo Ojetti pubblicò nel 1911 a seguito di una intensa e sincera intervista fatta al settantenne maestro nella sua casa di Quinto di Treviso, viene spesso estrapolata una breve citazione, una sorta di aforisma, usata per riassumere l’approccio del pittore veneziano nei confronti della moderna pittura di paese: “un buon ombrello bianco e il vero”. In realtà, come oramai è noto a tutti, i termini del rinnovamento della pittura di paesaggio nella seconda metà dell’Ottocento sono molto più articolati e complessi, ma il “motto” ciardiano costituisce comunque un buon punto di partenza per raccontare l’avventura artistica di uno degli artisti fondanti della nuova scuola pittorica veneziana, assieme a Favretto e a Luigi Nono. Commento pittorico è quel “macchiaiolo” dipinto dell’amico noalese Egisto Lancerotto (1847 – 1916) realizzato intorno al 1870, che immortala un giovane Guglielmo immerso nella campagna trevigiana con la moderna strumentazione portatile usata per dipingere en plein air.

Egisto Lancerotto, Guglielmo Ciardi al lavoro, olio su tela, 1870 circa
Egisto Lancerotto, Guglielmo Ciardi al lavoro, olio su tela, 1870 circa

Guglielmo Ciardi era nato il 13 settembre del 1842 nel Sestiere di San Marco da Giuseppe Lodovico, funzionario dell’amministrazione austriaca e dalla veneziana Teresa de Bei, era il secondogenito di nove fratelli e la sorella Maria sposerà nel 1886 un caro amico del fratello, il pittore Alessandro Milesi. Dopo aver portato a termine gli studi classici presso il collegio di Santa Caterina, contrariamente al volere del padre che lo avrebbe voluto avviato alla carriera notarile, ma incoraggiato dal decoratore e pittore di vedute Carlo Matscheg, amico di famiglia che assecondava la sua passione per la pittura attraverso lezioni private, sostiene nel 1861 l’esame per entrare nella veneziana Accademia di Belle Arti. Inizia frequentando i corsi di disegno e acquarello (1861-1862) e nei due anni successivi si iscrive a quelli di Prospettiva tenuti da Federico Moja ottenendo i primi riconoscimenti in occasione dei concorsi annuali per le sue eccellenti capacità. Le rare prove superstiti di questi primissimi anni di formazione mostrano ancora la difficoltà del giovane studente a distaccarsi da una pittura scolastica, descrittiva, rifinita e prospetticamente tradizionale, propria dei maestri del paesaggismo tardo romantico ottocentesco. Nel precocissimo e inedito Paesaggio fluviale del 1859 TAV 5 troviamo un’esercitazione ad acquerello perfettamente in linea con le vedute del suo primo maestro Carlo Matscheg, mentre nel Paesaggio montano TAV 6 di qualche anno dopo sono chiaramente ravvisabili le suggestioni del paesaggista svizzero Calame, le cui opere spesso venivano utilizzate dai giovani allievi d’Accademia come modello per le esercitazioni.

Rimasto orfano di padre all’età di ventun anni conclude il percorso in Accademia grazie a una borsa di studio ottenuta dall’amministrazione austriaca che conferma la sua eccellenza negli studi e dopo il biennio di Prospettiva con Moja si iscrive nel 1864 alla classe di Vedute di paese e di mare, tenuta dal paesaggista padovano Domenico Bresolin (1813 –1900), uno dei pionieri nell’uso del mezzo fotografico e artefice di un programma di insegnamento stimolante e profondamente innovativo. Nella tarda estate del 1865, dopo un anno dalla sua nomina alla cattedra di paesaggio, Bresolin invita i migliori allievi, sostenuti economicamente da un sussidio governativo, a fare una lunga esperienza di immersione totalizzante nella pedemontana trevigiana della durata di sei settimane per studiare un paesaggio diverso da quello lagunare. Stimola i giovani alunni a dipingere en plein air e a rapportarsi direttamente con la realtà naturale, superando così quei limiti che il “paesaggio di composizione” praticato all’interno delle aule scolastiche imponeva agli allievi. La portata di novità della inusitata pratica in ambiente segnerà l’avvio della veneziana “scuola del vero”, e quindi la conseguente rifondazione dell’insegnamento della cattedra di paesaggio che aveva attraversato un lungo periodo di crisi, e parimenti l’affermazione di Ciardi tra i migliori e più dotati allievi. Illuminante prova di questa sterzata verso la modernità è il piccolo olio del 1866 con Il Grappa d’inverno TAV 7 con il quale il pittore raggiunse una indubbia maturità espressiva. La resa essenziale e la massima semplificazione dei dati visivi rende questo paesaggio tra i più rappresentativi di quella tendenza all’uso della “macchia” toscana, all’appiattimento dei piani prospettici attraverso le tre fasce sovrapposte di terra, monte, cielo, e alla scabra presenza di elementi naturali che potenziano l’intonazione lirica dello spazio paesaggistico. Lo accompagna un disegno preparatorio intitolato Prime nevi che mostra l’abilità e l’importanza della fase grafica nella prassi del pittore.

Sono anni di studi intensi, di pratica in ambiente e di una conseguente ricchezza di produzione pittorica, materiale da presentare alle più importanti vetrine locali. Il 1867, oltre ad essere l’anno conclusivo degli studi in Accademia, Guglielmo espone delle “riprese dal vero” alle Promotrici di Verona e Venezia, utilizzando titoli scrupolosamente descrittivi che ci permettono di comprendere, in assenza delle opere, le scelte tematiche oltre che teoriche del venticinquenne pittore prima del celebre “primo” viaggio verso il Sud dell’Italia. Località della gronda lagunare, frammenti di terreni anfibi, ubicazioni marginali, dimessi e inusuali di Venezia diventano per il giovane pittore i luoghi di interesse dove trovare ispirazione con colori e pennelli uniti a un bagaglio ideologico che manifesta già l’adesione all’esperienza macchiaiola toscana e lo pone tra i primi maestri in controtendenza rispetto alla tradizione scenografica e architettonica della veduta veneziana. Un esplicito rimando è ravvisabile nel particolare utilizzo evocativo del termine “maremme veneziane” con cui il pittore titola alcuni di questi lavori riallacciandosi idealmente a quelle località predilette dai Macchiaioli per le loro riprese dal vero. E’ plausibile pensare che Ciardi già a quell’epoca si considerasse allineato con la pittura dell’avanguardia toscana i cui echi erano già approdati in laguna e ben visibili anche nei paesaggi del suo maestro Bresolin TAVV 2-3, ma con la partenza per Firenze all’inizio del 1868 la “sprovincializzazione” si fa ancor più marcata. Nelle due settimane fiorentine, improduttive dal punto di vista lavorativo, ma fondamentali per le riflessioni sulla nuova arte, incontra Telemaco Signorini – grazie a una lettera di presentazione di Federico Zandomeneghi – che lo porta a visitare lo studio di Giovanni Fattori e a frequentare il Caffè Michelangelo di via Larga, luogo prediletto di ritrovo dei giovani pittori rivoluzionari che, come riferirà nella famosa intervista a Ojetti “mi insegnarono non la pratica meccanica dell’arte mia ma il diritto di essere indipendente, ad essere sincero, ad essere io”. L’incontro a Firenze con il pittore romano Nino Costa lo spinge a proseguire il viaggio di formazione verso Roma e a recarsi nella campagna tra Ariccia e Albano. Guglielmo rimane affascinato dalla maestosità del paesaggio e dal malinconico sentimento di mestizia e ne ricava delle impressioni di spiccata impronta costiana o forse ancor di più queste opere risentono della fascinazione per il pittore macchiaiolo Giuseppe Abbati ben visibile nei Dintorni di Roma TAV 8. Prosegue verso Napoli con una lettera di presentazione di Pompeo Marino Molmenti e incontra Domenico Morelli, stringe amicizia con Francesco Palizzi, è interessato ai pittori della “scuola di Resina” e alle punte più avanzate del movimento verista campano. Lo colpisce l’opera del barlettano Giuseppe de Nittis e quella di Federico Rossano. Le incursioni nel territorio campano da Salerno a Capri, da Pozzuoli a Licola risultano efficaci per proseguire e rinfrancare il suo personale percorso di ricerca del vero, assimilando criticamente le istanze più sperimentali e moderne della pittura di paesaggio partenopea. La scelta di marine, panorami costieri a strapiombo sul mare, paesaggi lacustri come il Lago di Averno TAV 9, paludi e brughiere come A Licola (Venezia, Galleria Internazionale di Ca’ Pesaro) sono le esercitazioni che Ciardi affronterà con estrema serietà operativa e riflessione critica, coerente nella scelta di motivi antipittoreschi e di un approccio sempre sintetico e obiettivo della realtà, già sperimentato nella sua terra veneta.

In un Veneto oramai unitario la fama di Ciardi accresce al suo rientro grazie a una serie di cicli pittorici tematicamente ispirati alla laguna di Venezia e alla campagna trevigiana, soggetti che costituiranno i due pilastri della sua poetica e che troviamo presenti alle più importanti manifestazioni artistiche nazionali degli anni Settanta, da Venezia a Napoli, da Torino a Firenze, da Genova a Milano. Proseguendo il suo approccio “minimalista” e sintetico, già sperimentato precocemente negli anni di Accademia, è lo studio delle modulazioni luministiche, delle sottili variazioni atmosferiche, che caratterizza queste opere della prima maturità. Oltre al successo di vendite verrà consacrato dalla la critica tra i più importanti pittori contemporanei di paesaggio.

Le riprese del Canale della Giudecca, il ciclo delle cosiddette “basse maree”, o dei “pescatori in laguna”, ci mostrano la predilezione dell’artista per l’ampiezza spaziale di grande respiro, per un punto di vista ribassato e, pur mantenendo un certo rigore nella rappresentazione del vero, si impegna con grande dedizione nella ricerca delle sottili variazioni equoree, luministiche e, più in generale, atmosferiche che riflettono quella calma delle acque lagunari realizzate con effetti di trasparenza e colori luminosi. Nei casi in cui viene descritta anche la presenza umana è però sempre il paesaggio a far da protagonista, la scelta ideologica di mantenere il distacco prospettico che si traduce in un distacco psicologico lo pone in antitesi rispetto a quello che andavano producendo alcuni dei contemporanei e amici “veristi” veneziani.

Guglielmo Ciardi, Mattino di maggio, 1869
Guglielmo Ciardi, Mattino di maggio, 1869

Simultaneamente alla produzione di soggetti lagunari, nella piccola tenuta di Ospedaletto di Istriana a pochi chilometri da Treviso già acquistata dal padre, Guglielmo inizia le sue perlustrazioni in un territorio vergine, incontaminato e lontano da ogni turistica seduzione che gli permette di continuare nelle sue sperimentazioni e di trovare nuove soluzioni espressive e compositive, divenendo di lì a poco il magistrale cantore della campagna veneta. Novembre. Aquitrini sul Sile e Paesaggio sul Sile TAVV 12-13 sono già dei compiuti esempi della produzione dei primi anni Settanta, sono immagini permeate da un fascino sospeso e potente, autonome e incredibilmente seducenti, la scelta spregiudicata di un brano di paesaggio lacustre, sotto una calotta di cielo striato da nubi dove non accade nulla, è chiaramente pragmatico di quella rottura con la tradizione paesaggistica precedente per lasciare autonomia assoluta alla pittura. Mattino di maggio del 1869 TAV 10 è tra gli esempi più felici del nuovo paesaggismo ciardiano che rivela una evidente consonanza con la cultura toscana di Signorini. Una giovane contadina in una calda giornata d’estate percorre un argine in terra battuta illuminato dalla luce, sullo sfondo alcuni esempi di edilizia contadina e sull’ansa le caratteristiche imbarcazioni fluviali. L’abilità prospettica del pittore si fonde con la sensibilità paesaggistica grazie un sapiente uso di una luce modulata e un taglio compositivo che viene felicemente ripreso in altre versioni. Con le tre redazioni del Mercato di Badoere (1870-1875) diversifica anche i temi trattati, raffigurando un momento di vita paesana in un caldo mattino d’estate: è un’occasione per esibire in maniera audace la sua abilità prospettica.

Guglielmo Ciardi, Lungo il Sile, anni '70 dell'800
Guglielmo Ciardi, Lungo il Sile, anni ’70 dell’800

Gli anni Settanta si distinguono anche per la ricchezza di lieti eventi personali: il matrimonio (15 aprile 1874) con Leonilda Locatello, figlia del pittore Gian Francesco Locatello, e la nascita dei figli Beppe (1875) ed Emma (1879), i quali diventeranno entrambi pittori. La coppia avrà anche altri due figli: Ettore e Maria che sposerà il medico veneziano Carlo Pasinetti e sarà la madre di Pier Maria e Francesco, i quali erediteranno una cospicua raccolta delle opere del nonno. La coppia dopo il matrimonio si trasferisce nel palazzetto in Fondamenta Alberti (n.3129) a San Barnaba dove Guglielmo terrà il suo studio veneziano.

Dalla metà circa di questo decennio e con una certa sistematicità si dedica anche ai lunghi soggiorni nelle Prealpi bellunesi, tra le alte quote dolomitiche si arrampica con il cavalletto portatile e la tavolozza per schizzare e dipingere in solitudine dal “vero”, totalmente immerso nella natura e affascinato dall’ebbrezza della luce alpina. Con queste prime esplorazioni pittoriche diverrà tra i pionieri della “veduta di montagna”, un fortunato genere che avrà una schiera di valenti seguaci e sostenitori. Nascono così Fonzaso e Torrente di montagna TAVV 14-15 del 1874, dove ritrae con un tocco veloce e leggero la profondità della vallata e gli effetti della luce sui piani inclinati. Il paesaggio di montagna diviene parte del repertorio pittorico anche negli anni successivi, dove il pittore alterna studi e bozzetti registrati dal vero con opere di grande formato. Paesaggi alpini delle Dolomiti, dell’altipiano di Asiago e della Carnia sono esposti in numero sempre crescente nei frequenti appuntamenti espositivi. Alla II Triennale di Brera a Milano del 1894 viene presentata una panoramica fuori formato che diverrà un riferimento imprescindibile per molta pittura di paesaggio successiva e in particolare per il figlio Beppe: Mattino alpestre (Sorapis) TAV 21 viene salutato dalla critica ufficiale con grande entusiasmo.

Già verso la fine degli anni Settanta era stato scelto per rappresentare la corrente realistica veneziana all’Esposizione Universale di Parigi (1878) ed era partito con l’amico Giacomo Favretto per confrontarsi con la nuova pittura di paesaggio degli impressionisti. La presenza in mostre europee si fa sempre più consistente negli anni Ottanta: da Nizza a Monaco, da Anversa a Berlino. Nel 1882 acquista la villa di Quinto di Treviso, dove si alterna con lo studio di Venezia per trascorrere lunghi periodi di lavoro sugli amati soggetti della campagna trevigiana. Nasce il pluripremiato Messidoro, 1883 (Roma, GNAM), forse il quadro più conosciuto del pittore, una veduta ripresa dal piano alto della casa di Quinto, sostenuta da un impianto disegnativo come spesso avviene nei dipinti di Guglielmo, che si espande a perdita d’occhio nella luminosità diffusa, una visione rasserenate della natura e dei suoi ritmi. Paesaggio e Lungo il Sile TAVV 19-20 fanno parte della produzione dedicata agli stagni sul Sile della fine degli anni Ottanta, dove rinnova l’interesse per ambienti anfibi e lacustri con un fare più frammentato e “impressionista”.

La sua fama viene confermata dall’incarico che riceve nel 1894 per la cattedra di Scuola di vedute di paese e di mare all’Accademia di Belle Arti di Venezia come naturale erede del suo maestro Bresolin. L’anno seguente è tra i fondatori della Biennale di Venezia e tra i membri del Comitato coordinatore dell’Esposizione. Operoso anche nel nuovo secolo continua ad essere parte dell’establishment veneziano, tra l’insegnamento in Accademia e gli impegni istituzionali cittadini, riesce a partecipare a importanti appuntamenti espositivi nazionali e internazionali (Monaco, Parigi, Buenos Aires).

Alla Biennale come artista vi partecipa per undici edizioni consecutive fino al 1914.

Acquistata nel 1899 la casa di Canove vicino Asiago, spesso si reca con Beppe a dipingere le vedute dell’altipiano, in questi anni l’adesione allo stile di Guglielmo da parte del figlio diventa quasi palmare. Un esempio evidente è il dipinto Raggio di sole TAV 23, quasi un esperimento divisionista. Nella serie dedicata ai dintorni di Sappada TAVV 22 + quello di Beppe, la pennellata di padre e figlio è larga, strisciata, materica e corposa.

Nel 1908 partecipa assieme ad altri maestri d’Accademia e ai figli Emma e Beppe alla prima esposizione di Ca’ Pesaro. Tra giovani artisti “secessionisti”, ci saranno i suoi allievi Teodoro Wolf Ferrari e Umberto Moggioli. Allestisce un’ampia personale alla Biennale del 1909, dove nei lavori recenti non rimane immune dalle suggestioni della cultura pittorica nordica e delle nuove istanze simboliste che aveva avuto modo di apprezzare proprio alle Biennali di Vittorio Pica. Nel 1910 si mette ancora in gioco: settantenne intraprende il famoso viaggio in Europa per accompagnare la figlia Emma alla sua prima personale alla Leicester Galleries in Green Street a Londra. All’andata visiterà anche Basilea Nimes e Bruges e troverà il tempo per fissare delle veloci impressioni in alcune tavolette di piccole dimensioni con una pennellata rapida e nervosa. Riesce ancora ad aggiornare il suo linguaggio espressivo a Londra guardando alle tendenze artistiche più moderne dell’epoca: dalla pittura di Monet, che aveva conosciuto un paio di anni prima a Venezia, alle modernissime vedute londinesi del collega barlettano, ma oramai naturalizzato francese, Giuseppe De Nittis. Nelle Impressioni londinesi TAVV 25,26,27,28,29 si ravvisa quell’incalzare della modernità attraverso la provvisorietà delle inquadrature prospettiche e le tonalità argentee e fumose della metropoli dove il “ductus si fa magma che non vuole essere dominato, che dunque diventa un flusso in cui l’immagine si forma e si sforma appena formulata, in una velocità che non consente pause, apparizione provvisoria e precaria, segno al limite del gesto” (Stringa 2007).

Nel 1911 viene pubblicata l’importante intervista rilasciata a Ugo Ojetti nella casa di Quinto dove trascorre lunghi periodi e dove riesce, sempre con rinnovato interesse, a produrre paesaggi dei dintorni. Strada del villaggio (Quinto sul Sile) TAVV 32-33 viene presentato alla Biennale del 1912, la tecnica è oramai quella della stagione estrema del pittore: larga e materica stesa con pennellate corpose che seguono andamenti verticali, orizzontali e diagonali.

Nel 1915, mentre Venezia viene bombardata, Gugliemo con i figli partecipa e viene premiato alla Panama Pacific International Exposition di San Francisco, il grande evento organizzato in occasione dell’apertura del canale di Panama. L’ictus che lo aveva colpito sul ponte di Rialto lo porterà però gradatamente all’immobilità e nel frattempo la villa di Quinto era stata trasformata in ospedale militare. Si spegne il 5 ottobre del 1917 a Palazzo De Blaas alle Zattere, colui che era stato tra i fondatori di una stagione nuova della pittura veneziana, il cantore del paesaggio veneto moderno, ma verrà a mancare anche il “traghettatore” verso quella pittura d’avanguardia, che si aggiorna a contatto con le nuove istanze europee, che sarà alla base della formazione dei suoi più “moderni” allievi: Teodoro Wolf Ferrari e Umberto Moggioli.

Una prima importante retrospettiva gli venne dedicata nel 1920 durante la Biennale veneziana con 32 tele e dieci disegni. L’anno seguente prende avvio l’importante trattativa, che si concluderà in maniera fruttuosa e generosa, da parte della famiglia Ciardi con la Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. Nino Barbantini e il figlio Beppe selezionarono un cospicuo numero di opere direttamente dallo studio dell’artista. Il 15 luglio del 1924 in contemporanea con la XV Esposizione della Bevilacqua la Masa veniva solennemente inaugurato lo spazio museale dedicato a Guglielmo Ciardi, con 60 opere esposte al secondo piano del palazzo così da restituirgli quel ruolo di capofila nella pittura veneta dell’Ottocento, colmare il vuoto lasciato nelle collezioni pubbliche della sua città e dare avvio a quel progetto così caro al Barbantini di costituzione del “Museo dell’Ottocento”. Dopo alcuni importanti lavori di ordinamento del corpus pittorico e grafico ciardiano da parte di Pospisil e Menegazzi, è stato di recente pubblicato (2007) il catalogo generale del pittore a cura Nico Stringa, al quale si rimanda per tutta la parte di studio analitico.

Bibliografia essenziale

  • 1911, U. Ojetti, Ritratti di artisti italiani, Milano 1911
  • 1924, La sala di Guglielmo Ciardi alla Galleria d’Arte Moderna di Venezia, in “Gazzetta di Venezia” 3 aprile (poi pubblicato in N. Barbantini, Scritti d’arte inediti e rari, Venezia 1953)
  • 1946, M. e F. Pospisil, Guglielmo Ciardi, Firenze 1946
  • 1977, Guglielmo Ciardi, catalogo della mostra [Treviso, Ca’ da Noal, 10 settembre – 6 novembre 1977] a cura di L. Menegazzi, Treviso 1977
  • 1988, Guglielmo Ciardi (1842-1917). Dipinti e disegni dalle collezioni di Ca’ Pesaro, catalogo della mostra [Mestre, Istituto di Cultura S. Maria delle Grazie, 19 novembre – 16 dicembre 1988] a cura di F. Scotton, Venezia 1988
  • 1991, L. Menegazzi, Guglielmo Ciardi, Soncino (CR) 1991
  • 2007, Guglielmo Ciardi. Catalogo generale dei dipinti, a cura di N. Stringa, Crocetta del Montello (TV) 2007
  • 2013, Guglielmo Ciardi. Protagonista del Vedutismo Veneto dell’Ottocento, catalogo della mostra [Milano, Gam Manzoni, 11 aprile – 31 maggio 2013] a cura di E. Savoia, F. L. Maspes, Crocetta del Montello (TV) 2013

Tempo e Arte ringrazia l’Editore Marsilio per aver cortesemente concesso la liberatoria finalizzata alla pubblicazione del presente articolo