Montegrotto Terme: verticalizzate le rovine della maestosa villa

Francesca Selvaggio Bottacin

Un complesso residenziale tra le cui più importanti funzioni vi era certamente quella di abbacinare gli occhi degli ospiti dei padroni di casa, e soggiogarne la mente. Non poteva che essere così, visti gli sfarzosi materiali impiegati e le dimensioni faraoniche.

Una villa termale immensa, divisa in due grandi sezioni, una pubblica, e una per la vita privata. In questa residenza, degna di un imperatore, dimorava forse, alternando agli ozi la vita di rappresentanza, una famiglia patrizia di altissimo rango, vissuta intorno al primo secolo d.C..06monteg_ricostruzione-virtuale_de

E se gli antichi proprietari della villa potessero oggi assistere a quale interesse e stupore sono ancora in grado di suscitare, a circa duemila anni di distanza, mediante le rovine del loro grande complesso abitativo, sarebbero certamente soddisfatti per aver centrato l’obbiettivo, probabilmente molto oltre le loro aspettative, anche se (come nel caso delle gardesane “Grotte di Catullo”) resta ancora da appurare la loro identità.

Insomma, dopo quasi duemila anni di storia e oltre un decennio di scavi, corredati da studi approfonditi, l’11 luglio è stata finalmente aperta al pubblico l’area archeologica presso l’Hotel Terme Neroniane di Montegrotto Terme.

Tale area si inserisce in un contesto ben più vasto che vede come protagonista non solo la già menzionata Montegrotto, ma anche altre località della zona dei Colli Euganei, diventata un grande parco archeologico a cielo aperto.

La villa, infatti, riemerge dalla storia come già avvenuto per le scoperte in via degli Scavi e in viale Stazione, rese fruibili a partire dal 2011, e che già dimostravano l’importanza archeologica di queste zone.05monteg_ricostruzione_villa_disegno_Inklink

Ma l’interesse per la ricerca archeologica su questi luoghi si attesta già a partire dal XVIII secolo, quando tornò in auge un’attenzione nei confronti del termalismo nella zona dei Colli Euganei, da parte dei marchesi Dondi dall’Orologio, allora proprietari del territorio.

Si intensificarono, quindi, proprio in tale periodo, studi che produssero mappe e disegni a opera di Salvatore Mandruzzato, cui seguì, nel 1769, l’istituzione di una cattedra presso l’Università di Padova, finalizzata agli studi archeologici dell’area euganea.

Ma i secoli successivi furono caratterizzati da scarso interesse scientifico nei confronti di fortuiti ritrovamenti nel comprensorio dei Colli Euganei, e vi fu campo libero, quindi, anche per la ricerca clandestina.

È solo nella seconda metà del XX secolo che si iniziarono vere e proprie campagne di scavo a opera della Soprintendenza dei Beni Archeologici del Veneto (anche se a fasi alterne), che consentirono di delineare, un importante spaccato, non solo della vita legata al termalismo antico nel bacino euganeo, ma anche delle epoche precedenti e successive.

L’avvenimento più importante è sicuramente quello di aver aperto al pubblico, la grande villa di Montegrotto, i cui primi reperti vennero trovati già nel 1988, ma il cui studio approfondito iniziò solo nei decenni successivi, in particolare tra il 2001 e il 2012, quando, grazie alla collaborazione tra l’Università di Padova e la Soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto, si è proceduto a sistematiche campagne di scavo.01monteg_panoramica_dello_scavo

L’utilizzo termale di queste zone è attivo da ben 3000 anni, come illustrato da Paola Zanovello, coordinatrice scientifica del progetto Aquae Patavine. Una spinta propulsiva dell’intera zona fu poi data dalla pacifica occupazione romana del Veneto, a partire dal II secolo a.C., in particolare a seguito della fondazione coloniale di Aquileia nel 181 a.C..

Ebbe così inizio il processo di romanizzazione, grazie al quale le popolazioni locali vennero in contatto con usi e costumi della Roma antica, introdotti dalle soldatesche romane.

Complice del processo fu anche (e soprattutto), la posizione strategica dell’attuale Veneto, che divenne un punto nevralgico per la viabilità nord-orientale dell’Impero, crocevia non solo di scambi commerciali, ma anche culturali.

Ben presto l’area euganea venne sfruttata anche per la presenza delle sorgenti termali, tanto da divenire una zona di soggiorno e di cura fra le più apprezzate in epoca romana, come ci suggerisce Plinio il Vecchio, definendo la zona “acquae patavinae” (da cui prende il nome anche l’attuale progetto legato alla valorizzazione delle aree archeologiche euganee).

Infatti, attorno alle sorgenti, presero il via lavori di costruzione non solo di piscine e fontane, atte allo sfruttamento connesso alle acque termali, ma anche di spazi ricreativi, come nel caso del teatro rinvenuto sempre nell’area di Montegrotto, nonché residenze private.07monteg_ricosrtuzione-virtuale_in

Di tutti i ritrovamenti nell’area euganea, il complesso della villa rinvenuto nei pressi dell’Hotel Terme Neroniane è sicuramente quello più importante sotto diversi punti di vista, come sottolineato anche da Francesca Ghedini, vicedirettore del dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova: gli scavi prima, e gli studi in laboratorio poi, hanno fatto emergere un quadro sorprendente per quanto concerne la storia del complesso e la sua funzione. La villa, presa nella sua totalità, si estendeva su una superficie di 13500 metri quadrati, nei quali si distinguono parti costruite a uso abitativo e altre zone, che erano invece adibite a giardino. Dallo studio del sito archeologico è emerso con chiarezza che la villa era frutto di un complesso architettonico e ingegneristico unitario, ovvero di un pensiero unitario e non di rimaneggiamenti e ampliamenti aggiunti successivamente.

La coerenza architettonica che sta alla base dell’edificio sinora riportato alla luce, e i raffronti con altre strutture del medesimo periodo presenti nell’Italia settentrionale e in Europa, fanno ipotizzare che la villa venne progettata e costruita in età augusteo-tiberiana, attorno ai primi decenni del primo secolo d.C., in un periodo durante il quale questi territori si stavano trasformando in una zona residenziale fuori dalla vicina Patavium, ma ugualmente noti e largamente frequentati, per le proprietà curative delle loro acque.

Tali raffronti hanno fatto emergere, inoltre, la funzionalità della villa, con ogni probabilità prevalentemente adibita all’otium.

Ciò che è oggi possibile visitare è solo parte dell’intero complesso dell’edificio, quello meglio conservato, ovvero il lato settentrionale, caratterizzato da un vasto vano centrale (la cui funzione era presumibilmente quella di rappresentanza), dal quale si dipartono, in modo perfettamente simmetrico, altre stanze a uso abitativo.

La parte settentrionale è l’unica emersa dell’intero complesso, ma dagli studi si evince che la villa fosse costituita da un’altra zona residenziale, nella quale era presente una sala da pranzo, e un’ulteriore sala di rappresentanza, corredata da due imponenti giardini, circondati da corridoi colonnati.

Dell’antico maestoso splendore della villa rimangono ormai pochi frammenti, la maggior parte dei quali è andata sgretolandosi nel corso dei secoli, ma, grazie a un prezioso lavoro di restauro, e a una vasta copertura pensata ad hoc per il sito archeologico, è possibile oggi intuire la grandiosità dell’intero complesso.04monteg_area_villa_da-nord-con-sala

La copertura dello scavo merita una particolare attenzione, poiché essa, non solo permette di proteggere dal degrado le parti emerse, ma ricostruisce gli ingombri dei singoli vani nella loro tridimensionalità.

Detta copertura, essendo stata appositamente studiata e costruita per permettere la piena fruizione del sito, ha richiesto molta cura nella scelta dei materiali: principalmente legno e acciaio per la struttura portante, che risulta essere più grande rispetto ai resti murari rinvenuti nell’area; e materiali traslucidi per la copertura, in modo  la luce naturale possa passare irradiando in maniera diffusa sulle rovine.

Se l’attuale copertura restituisce i volumi ai vani che componevano il lato settentrionale della villa, a terra si è operato cercando di far intuire al fruitore il ritmo della loro suddivisione. La soluzione adottata è stata quella di fare in modo che le singole stanze fossero ben riconoscibili le une dalle altre, grazie all’utilizzo di materiali lapidei diversi tra loro per forme e colorazione, a seconda dei diversi ambienti, mantenendo e sottolineando al contempo i materiali pavimentali originali lasciati in loco.

Copertura e divisione a terra delle diverse zone, quindi, concorrono entrambe, in modo ideale, a una visione immediata di come doveva apparire  l’intero complesso nel primo secolo d.C..

I frammenti che costituiscono le decorazioni della villa, hanno reso possibile ipotizzare quale fosse la committenza della sontuosa residenza.

I preziosi frammenti, non solo di parti della pavimentazione, ma anche decorazioni parietali, permettono di confermare, sia la datazione del complesso, sia l’unitarietà del progetto architettonico-decorativo.03monteg_pavimento_opus_sectile

La pavimentazione risulta differenziata a seconda dei diversi ambienti. La sala di rappresentanza, quella centrale, da cui si dipanano le altre stanze, è caratterizzata da una decorazione definita opus sectile, ovvero sottili lastre di pietra bianche e nere disposte a formare dei disegni geometrici, mentre, in altre sale, tessere prettamente bianche e nere sono incastrate a formare tappeti di mosaici.

Anche i frammenti di ornamento parietale rinvenuti sono di notevole qualità, e si ipotizza che le pareti fossero caratterizzate da una decorazione a campiture di colore, separate da piccoli elementi ornamentali, da stucchi e da fasce pittoriche che richiamavano le venature marmoree.

Tuttavia, il rinvenimento più interessante è certamente quello costituito da frammenti di una decorazione il cui soggetto era un giardino miniaturistico, che faceva forse da “specchio”, all’interno delle mura domestiche, al giardino esterno. Tale tipologia pittorica era molto in voga nei primi decenni del primo secolo d.C., pertanto essa sottolinea come la villa fosse fortemente denotata dal gusto decorativo che si andava diffondendo proprio in quegli anni nell’ambito delle abitazioni private nell’Italia settentrionale.

Il marmo bianco, e le tecniche utilizzate, soprattutto nella decorazione pavimentale, che si distingue da quelle in uso in contesti meno nobili, confermano l’elevatissimo rango della committenza. Nel cantiere vennero impiegate maestranze di livello eccellente, quasi certamente provenienti dalle aree limitrofe, e che erano quindi in grado, sia di utilizzare al meglio i materiali presenti nel bacino euganeo, finalizzandoli alle diverese funzioni specifiche; sia erano ben aggiornate sui modelli decorativi in voga a quel tempo, che si andavano via via sviluppando nell’area settentrionale, e che si rifacevano alla “moda” dettata nelle zone più centrali dell’Impero.

“La villa si inserisce in un puzzle di scoperte archeologiche che fanno del bacino euganeo uno dei più importanti centri della romanità antica nell’Italia settentrionale” ha sottolineato Francesca Ghedini.

Un parco archeologico a rete, nel quale i diversi siti portati alla luce possono da un lato convivere autonomamente, dall’altro fanno parte di un progetto più vasto e coerente.

La sfida maggiore rimane quella di coinvolgere il pubblico realizzando il proposito dell’offerta turistica più completa e diversificata, sfruttano tipologie diverse di linguaggio, che rendano comprensibile il parco. Vi è già, infatti, un percorso di pannelli disposti all’interno dei siti, e del tessuto urbano, con ricostruzioni dei ritrovamenti, e note esplicative delle diverse aree, oltre a un sito internet particolarmente dettagliato.

Il soprintendente per i beni archeologici del veneto Vincenzo Tiné, in occasione dell’apertura al pubblico della villa di Monegrotto, non ha avuto dubbi nel definire il parco archeologico dell’area euganea “il più importante del Veneto”, ma l’opera non può ancora dirsi conclusa.

Il punto di raccordo tra tutti i singoli siti archeologici sarà infatti, il Museo del Termalismo, che troverà posto nella preziosa sede di Villa Draghi a Montegrotto. Museo che avrà anche il doveroso e fondamentate compito di mantenere pervio il ponte tra antichità, presente, e futuro.

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 Bibliografia

Acquae Patavinae: il termalismo antico nel comprensorio euganeo e in Italia – atti del I convegno nazionale (Padova, 21-22 giugno 2010), a cura di M.Bassani, M.Bressan, F.Ghedini; Padova University Press, 2011.

www.acquaepatavinae.it