I “fantogrammi” di Franco Chiarani

Vittorio Spampinato

– Premessa a cura della redazione di Tempo e Arte

– A Ponte Ronca di Zola Predosa, sulla collina di Ca’ la Ghironda, spazio artistico polifunzionale di dieci ettari, pensato e realizzato liberamente (ovvero senza il giogo della dottrina accademica che avvince ancora troppi “professori” di establishment) da un vero artista, vivono oggi le temporanee di Franco Chiarani (30 marzo-18 aprile), e Vanni Viviani (22 marzo-31 maggio).

Uomo al telefono, Franco Chiarani

Uomo al telefono, Franco Chiarani

Infatti, Francesco Martani, padre fondatore di questa meraviglia della cultura, nell’accezione più ampia del termine, oltre che artista, è anche un professore, ma tale seconda qualifica si riferisce alle scienze mediche: il suo intuito unitamente alla competenza scientifica, hanno inventato una realtà capace di stimolare l’amore per la conoscenza interdisciplinare nei fatti, senza retorica, senza dottrina, con l’energia della spontaneità, e il valore e la competenza di un uomo di scienza e di arti, simile alle figure colte del Rinascimento, ma avido di rendersi esperto dei vorticosi aggiornamenti imposti dai linguaggi dell’arte contemporanea.

Martani è quindi una delle grandi figure dell’arte del ‘900 italiano, che ha conosciuto e intensamente familiarizzato con altri artisti di valore; intimo amico del naturalista Giorgio Celli (recentemente scomparso), costantemente pensa e presenta, insieme a Vittorio Spampinato, direttore di Ca’ la Ghironda, i principali eventi della sua incantata collina dell’arte.

Tempo e Arte lascia quindi loro la parola.

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TONALITA’ E ATMOSFERE DI FRANCO CHIARANI

Chiarani mi ha colpito non appena mi è stato sottoposto un suo catalogo al fine di valutare un’eventuale esposizione nello Spazio Atelier del Museo di Ca’ la Ghironda. Le sue opere le ho trovate subito “intriganti” non per la particolare luce ovattata o la rigorosa misura con cui tratta il colore, bensì per la dotata capacità di equilibrare materia e soggetti in un delicato, misterioso, magico rapporto tra la forma e la de-forma, la scomposizione o meglio la de-composizione, spesso, delle icone classiche – che rimandano ai soggetti tipici di ispirazione figurativa – con il gioco delle migrazioni, o meglio, trasposizioni dall’inconscio.

Opera (500x500), Franco Chiarani

Opera (500×500), Franco Chiarani

Così, la dispersione delle forme nel mare della magia artistica, nella pura creatività del segno che parte da una figurazione dapprima abbozzata e poi dispersa nell’informale più puro ed equilibrato (un’informale di “maniera”, azzarderei), è certamente figlio sia di quell’istinto che il Chiarani riesce a far emergere nei suoi lavori, sia di quella propria sviluppata tecnica che guidano, entrambe, la riuscita delle armonie. Ciò con una sempre chiara applicazione plastica sistematicamente riproposta, con eguale efficacia estetica, su supporti materici differenti. Non definirei, il Chiarani, un artista informale, bensì un sensibile elaboratore del segno, un cultore dell’equilibro tra forme e informe, un giocoliere di figure e ricami pittorici che, seppur nella drammaticità spesso dei suoi soggetti e delle sue atmosfere, rivela un accentuato percorso di qualità tecnica, di studio, di analisi, di ricerca, di elaborazione, di novità. Chiarani lavora abilmente il dipinto spessissimo con pochi colori, concentrandosi altrettanto abilmente sulle tonalità, rendendo la propria opera, nata da un moto apparentemente bitonale, o poco più, una magica rappresentazione scenica dell’inconscio e delle icone. Un’atmosfera pura e dichiarata, che riassume scuole e tendenze del ‘900, certamente, ma distampo assolutamente originale, allorquando mistico.

Opera (500x500), Franco Chiarani

Opera (500×500), Franco Chiarani

La figura di Chiarani, ricorrente e spesso emblematica, può servire a noi per agevolarci nella lettura e nell’interpretazione del suo linguaggio, nella ricerca della prospettiva, la bussola di orientamento, la ciambella di salvataggio di chi, dell’informale, non ne comprenda la valenza, lo sforzo, la ricerca, lo scopo, la sintesi, l’essenza e, finanche, la provocazione.

E così ammirare un’opera di Chiarani diventa il nostro gioco e probabilmente la sfida che l’artista ci lancia, una replica di quella meravigliosa sfida che tutta l’arte del novecento ha instaurato tra l’autore e il fruitore, laddove gli artisti, abbandonando il modo più tradizionale di fare pittura (dall’orinatoio di Marcel Duchamp e dalle Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso in poi), si sono calati con tutta la loro abilità nella filosofia del linguaggio semiotico, poggiando la loro creatività dapprima espressa con una pittura spesso da cavalletto, nella magia della sintesi del segno, del colore e della materia.

Opera (500x500), Franco Chiarani

Opera (500×500), Franco Chiarani

Se, per come citava Albert Einstein, l’immaginazione è più importante della conoscenza, il Chiarani parte da una conoscenza folta e intensa di pittura per esprimere la propria comprensione delle cose, il proprio gioco della vita, perché non è importante il colore, oppure il segno, ovvero la materia, bensì tutto l’insieme, quel fantastico – cioè – equilibrio che il Tutto richiede, ed ogni volta rinnova, per poter far nascere la visione immaginaria del proprio dettato. Non una caduta, quindi, non una dispersione, bensì costante pulsione e tensione nelle sue opere, indiscutibile abilità tecnica, ed efficace gestione del colore nelle sue atmosfere e tonalità, che pongono il Chiarani artista di bella qualità e interesse.

                                                                                                                  Vittorio Spampinato