I luoghi dell’arte

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Il soggetto tematico del secondo ciclo di Tempo e Arte , che inizia col presente numero, dedicato ai “luoghi dell’arte”, segue quello che affrontava una lettura storica dell’arte in chiave prettamente cronologica, attraverso i suoi momenti identitari rappresentati dai “secoli” (ogni ciclo tematico di aggiornamento è circa biennale, ed è segmentato sui diversi periodi di rilevanza storico-artistica – a partire dal ‘400 – indicati dai numeri romani tra parentesi quadre; tali periodi sono tutti rappresentati ogni biennio da una o più uscite. Per la navigazione agevolata si vedano le istruzioni alla voce “lo strumento”, cliccando il pulsante “home”).

I luoghi dell’arte si vengono in questo modo a sovrapporre al soggetto tematico dell’arte attraverso i secoli, creando una ideale stratigrafia critica, una cornice di contestualizzazione storico-artistica, all’interno della quale cercheremo di approfondire la lettura dell’immagine che l’uomo moderno occidentale ha offerto attraverso la sua arte.

Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in campagna,1338-1339

Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in campagna,1338-1339

Dobbiamo però innanzitutto ricordare che i paesaggi, siano essi naturali o antropizzati, sono realtà viventi in continua trasformazione, luoghi della totalità dell’esistenza, progetto del mondo umano, fonte di creatività e di modifica.

Intendo perciò presentare questo secondo soggetto tematico non con le parole di uno storico dell’arte, ma con quelle di un collega da sempre attento alle sensibili e delicate dinamiche relazionali con l’ambiente.

Scrive Massimo Venturi Ferriolo ¹: «L’uomo plasma la materia creando dimore dove sono raccolte la sua storia e la sua cultura: realizza paesaggi caratterizzati dalla contemporaneità di presente e passato. Le immagini attraversano la maestosità del mondo visibile per  illustrare la millenaria attività del costruttore di dimore e svelare i paesaggi e le loro etiche. Le fotografie sono metafore. Ognuna esprime un concetto, un paesaggio: un’etica. Parleremo di etiche e di paesaggi non del paesaggio in senso astratto e assoluto. Quest’ultimo non esiste o è un’idea iperuranica. Abbandoniamo ogni velleità e presunzione di definirlo: il rischio è l’astrazione. Non si può dare una definizione ontologica a una realtà in continuo movimento, che appartiene all’essere umano.

Il nostro percorso inizia dal profondo pozzo del passato, quando l’uomo, essere naturale, nasce in un ambiente non idoneo alla sua vita.  Egli, elemento della natura, a differenza degli altri animali, non possiede alcuna specializzazione né un particolare spazio d’esistenza. Ogni animale sopravvive soltanto nel suo habitat naturale. L’uomo, invece, deve costruirsi il luogo dell’abitare, la propria dimora. Costruisce e abita. Abita e costruisce. Creare e soggiornare sono due attività parallele: mentre abita costruisce; mentre costruisce abita.² L’azione è incessante: trasforma continuamente il mondo. Quest’attività, come ha sottolineato Giambattista Vico, appartiene all’ordine delle cose umane e “procedette: che prima furon le selve, dopo i tuguri, quindi i villaggi, appresso le città, finalmente l’accademie”.³ Ogni fase rappresenta un modo dell’abitare.⁴ Adeguando il suo ambiente, l’uomo crea il paesaggio: un cantiere eterno che esegue il progetto del mondo umano.»⁵

Ci ricorda poi Venturi Ferriolo che «Etica deriva da ethos, termine tramandato da Aristotele nel significato di carattere-indole. In realtà ethos è originariamente il luogo, la stalla, la tana: la dimora dell’uomo e dell’animale ricavata nella natura per la sopravvivenza. La natura benevola, madre buona e previdente, è un ideale romantico. L’uomo, fin dalla sua nascita, sopravvive costruendo nella natura un ambiente adeguato. Non essendo specializzato crea il suo luogo. Ethos  è lo spazio complessivo della vita umana con tutti i suoi caratteri etici (da ethikos: caratteristico e, di conseguenza, carattere, abitudine, comportamento). Non c’è luogo né realtà umana e paesaggistica senza il rispetto di determinate regole, tema molto dibattuto in tutta la tradizione classica. Luogo e regole sono interagenti. Il rapporto – conflitto fra ethos e nomos è la relazione tradizionale fra il carattere e la legge.⁶

In senso mitico ethos  è il luogo e nomos  il pascolo, la parte assegnata a ciascuno all’interno dell’ethos in cui l’uomo agisce, partecipando con precise regole di comportamento. Nomos  designa “la prima misurazione, da cui derivano tutti gli altri criteri di misura; la prima occupazione di terra, con relativa divisione e ripartizione dello spazio; la suddivisione e distribuzione originaria, è nomos”6. La provenienza da nemein , dividere, pascolare, fa del nomos “la forma immediata nella quale si rende spazialmente visibile l’ordinamento politico e sociale di un popolo, la prima misurazione e divisione del pascolo, vale a dire l’occupazione di terra e l’ordinamento concreto che in essa è contenuto e da essa deriva; nelle parole di Kant: “la legge che ripartisce il mio e il tuo sul territorio”… Nomos è la misura che distribuisce il terreno e il suolo della terra collocandolo in un determinato ordinamento, e la forma con ciò data dell’ordinamento politico, sociale e religioso. Misura, ordinamento e forma costituiscono qui una concreta unità spaziale”7.

Nomos rivela così la sua stretta connessione con ethos in quanto significa “luogo di dimora, distretto, luogo di pascolo”8. A ogni membro dell’ethos è attribuita una parte, un pascolo, di cui può deciderne la destinazione da amministrare correttamente: in modo conforme al luogo. L’azione umana può essere di conseguenza corretta o scorretta, giusta o ingiusta. Un’elegia di Solone è dedicata a questo tema  e tratta della differenza tra malgoverno, dysnomia, fonte di disordine e discordia e buongoverno, eynomia, fonte di ordine ed equilibrio: di eykosmos9. Il legislatore ateniese in quanto, nomotheta, ordinatore delle misure, ristabilì un nomos  compromesso: per questo fu considerato il padre dell’eynomia, la buona distribuzione alla base della patria democrazia.

Il coro dell’Antigone sofoclea, memore di questa tradizione, esalta il genio umano e la sua capacità a scovare soluzioni per tutti i problemi, compresi i mali, ma ricorda parimenti che l’ingegno può essere indirizzato sia verso il bene, sia verso il male: se verso il bene salvaguarda il suo luogo, se verso il male lo distrugge. È il reale conflitto tra ethos e nomos. Le tragedie di Sofocle – ricorda Heidegger – “nascondono nel loro dire l’ethos in modo più iniziale delle lezioni di Aristotele sull’«Etica»”10. Euripide ricorda la potenza del nomos  collegata a quella degli dei: è grazie a esso che crediamo agli dei e “vivendo fissiamo il giusto e l’ingiusto”11. Il nomos  possiede una forza cogente12. Tutti debbono osservarlo in un contesto etico dove è presente il divino. 

L’ethos, entità originaria a noi sconosciuta, comprende la prossimità dell’uomo con il divino, il sacro: il divino immanente perduto dai moderni. Lo dimostra il frammento 119 di Eraclito, ben interpretato da Heidegger nella Lettera sull’“umanismo”, che recita ethos anthropou daimon, tradizionalmente tradotto come “il carattere dell’uomo è il suo demone”, rimanendo oscuro.

Heidegger parte invece dal primo significato di ethos, luogo, traducendo: “l’uomo abita nella vicinanza di Dio”: soggiorna con la divinità. Il mondo è pieno di demoni, come rivela un altro frammento di Eraclito. Quello buono condurrà alla felicità. Felicità, Eudaimonia è il possesso del buon demone: lo stato di equilibrio tra divino e profano che ci permette di vivere bene – potremmo dire con il linguaggio moderno.  Sono i contenuti dell’abitare connesso al costruire: il senso profondo dell’avere luogo – da non dimenticare. Il divino è sempre presente. Nell’Iliade e nell´Odissea gli eroi si muovono con un contorno divino, che quando si rivela è denso di luce. 

Gli antichi non sapevano nulla della coscienza. Lo ricorda Hegel  in una nota del § 151 della Filosofia del diritto, dove definisce l’ethos  come il modo universale di agire degli individui, il costume;  la consuetudine del medesimo. Come prova cita per esteso la traduzione del filologo suo contemporaneo Friedrich Wilhelm Riemer, autore di un vocabolario greco-tedesco: “ethos ion. ethos, “abitudine, uso” (di preferenza [significa] abitazione presso Erodoto [in Omero e Esiodo anche tana degli animali]): è costume degli uomini, abitudine, carattere, aspetto. Nello stile e nella declamazione ethikos significa il caratteristico”. Lo stesso Hegel annota: “ethos [significa] uso, usanza (il tedesco Sitte, “costume”, deriva forse da Sitz, “sede, dimora stabile”?); modi dell’essere e della vita; realtà esteriore”13.

L’orizzonte etico è quello delimitato dalla contingenza, cioè dal mondo che può essere altrimenti: il mondo dell’azione (praxis) e della produzione (poiesis) che richiede abilità – le cosiddette eccellenze (aretai) – legate alle circostanze. La capacità di osservare ed agire saggiamente, phronesis, appartiene al dominio dell’opera umana: un contesto particolare in cui si manifesta l’adeguatezza dell’uomo. Agire e produrre in questa dimensione etica reale significa inserirsi nel mondo per modificarlo.

L’uomo è un demiurgo. La sua attività è la costruzione. Vive in un cantiere perpetuo, dove l’arte gioca un ruolo primario. Kant definisce il suo operare nella Metafisica dei costumi e nella Critica del giudizio, distinguendolo dall’effetto di natura. L’opera dell’uomo è libertà, arte: permette l’emancipazione dallo stato naturale e la creazione del mondo visibile come totalità di senso, con opere e simboli. L’arte può anche ricondurre alla natura, ideale moderno proiettato nella visibilità del paesaggio.»

La modernità inizia proprio qui: nella consapevolezza dell’uomo di non essere più parte e frammento della natura, ma dominus di quella, nuova divinità panica al centro del mondo così esperito. E l’immagine che ne deriverà attraverserà l’arte, come documento e testimonianza di quel pensiero. Per diventare presto monumento, sotto il cui peso la modernità inizierà a vacillare, fino infrangersi in pezzi sempre più piccoli, solitari lacerti di un’unità non più rappresentabile. Ne sarà emblema la disarmata visione di Johann Heinrich Füssli, nella sua celebre rappresentazione de La disperazione dell’artista davanti alle rovine antiche, che a un decennio dall’alba del XIX secolo, già intravvedeva le ombre calanti sulla modernità.

Come lui, i pittori romantici andranno in cerca di quei lacerti di natura che ripropongono la sola vista di un’intatta età dell’oro, anche se sempre più vorticosamente risucchiata nella gora del tempo.

Così «il cittadino moderno, infatti, cerca spazi di natura intatta nelle montagne, negli ambienti marini mediterranei e nelle campagne, anche quando ci sono evidenti tracce antropiche. Cerca emozioni che caratterizzano il medesimo paesaggio, rendendolo di volta in volta differente per il rapporto estetico sentimentale tra chi osserva e il luogo osservato, fra soggetto e oggetto: una relazione dalle differenti tonalità spirituali. Molte forme commuovono perché considerate frammenti di natura: elementi evocativi, particolari minimi dall’immaginazione infinita.¹⁴

L’ambiente naturale di un luogo ispira la creatività degli abitanti che lo abitano e si lasciano trasportare emotivamente. L’osservazione dello spazio intorno alla propria dimora è la molla originaria di ogni cultura. Miti e paesaggi diventano luoghi totali dell’esistenza, espressioni visibili della natura e del mondo. Ogni arte come ogni architettura nasce da questo stato emozionale. L’uomo dà identità ai suoi paesaggi diversificandoli in armonia fra la natura del luogo e i segni della sua presenza. L’arte fissa la sua effimera figura di mortale oltre il passaggio del tempo. Dà qualità al passato e al futuro indicando il progetto. Ogni paesaggio è opera di un intero popolo. Ogni architettura è, quindi, paesaggistica, determinata dal rapporto educativo che s’instaura tra il luogo e lo spirito. Ogni paesaggio è il luogo dell’appartenenza.

La lettura del mondo rende coevi all’osservatore il presente e il passato, offrendo una visibilità senza confini del rapporto stretto fra paesaggio e architettura. Quest’ultima riceve le coordinate dal luogo, a partire dalle grandi opere che riflettono l’attività del costruttore di comunità, di polis. Il tempio dell’Olympieion, fuori dalle mura di Atene, è stato testimone della passeggiata di Socrate nella valle dell’Ilisso, prototipo del parco pubblico e spazio del pensiero europeo. Il tempio di Posidone a Paestum emoziona Goethe: “la prima impressione poteva suscitare solo stupore. Mi trovavo in un mondo completamente estraneo”.

Non consueti e unici sono i paesaggi storici, soprattutto i più antichi. Riflettono un rapporto tra paesaggio e spirito estraneo all’osservatore stupito: testimonia la presenza del sacro che ha investito gli uomini in un luogo, esercitandovi il suo influsso nella costruzione degli edifici. La dimora del monaco appollaiata su alture irraggiungibili offre una contemplazione senza confini. La scelta del luogo ove costruire i conventi è legata a siti che dovevano afferrare spiritualmente i monaci, formando i paesaggi della mistica cristiana. La conformazione della Gravina ha coordinato i sassi di Matera. A Caltabellotta il confronto fra il paese e l’ambiente forma una totalità unica e irripetibile, riscontrabile anche a Teggiano sul Vallo di Diano.»¹⁵

Come si può vedere massimamente in un interprete del paesaggio quale è stato Bernardo Bellotto¹⁶, «ogni luogo, quindi, afferra emotivamente il proprio abitante, ha la sua specifica architettura. Non esiste originariamente architettura globale: ogni paesaggio ha identità locale, il suo carattere – il suo ethos differente da altri. Tali rapporti e la presenza del sacro creano architetture straordinarie e irripetibili.¹⁷ […]Queste opere mostrano un grado di qualità più o meno elevato, che le ha sempre caratterizzate nel corso delle varie epoche. Fin dai più antichi testi letterari sono evidenti apprezzamenti della bellezza dei luoghi, come l’Edipo a Colono  di Sofocle. Considerare l’estetica e il senso del paesaggio solo come manifestazioni dello spirito moderno è frutto di un’operazione riduttiva, legata solo alla storia dell’arte, alla rappresentazione e non alla realtà.

La rappresentazione di un paesaggio non è la sua essenza fenomenica. Sono due cose differenti: i paesaggi sono sempre esistiti, anche se la parola è moderna, nata con la perdita della natura e la proiezione di quest’ultima nell’ideale astratto di un bene perduto. Aristotele e Platone discutono la polis greca quando è in via d’estinzione. Noi c’interessiamo del paesaggio della sua essenza e della bellezza – facendone un’astrazione ideale dal contesto reale – proprio quando stanno scomparendo.»

Note:

1) Massimo Venturi Ferriolo in Etiche del paesaggio. Il progetto del mondo umano tra antico e moderno, Editori Riuniti, Roma, 2002. Tutti gli altri estratti riportati tra virgolette senza diciture o note si riferiscono al medesimo saggio.

2) Come dimostra bene M. Heidegger, “Costruire, abitare e pensare”, in Saggi e discorsi, ediz. ital. a cura di Gianni Vattimo, Milano, Mursia, 1976.

3) G. Vico, La scienza nuova, 239.

4) Come ha notato R.P. Harrison, Foreste. L’ombra della civiltà (1992), tr. it. di G. Bettini, Garzanti, Milano 1992, p. 269.

5) La capacità umana e la trasformazione del suo luogo dell’abitare si misura con l’abilità del costruttore. L’essenza della dimora è comprensibile con l’etica, disciplina filosofica dei rapporti tra l’uomo e l’ambiente. Il suo significato originario è lontano dalla patina morale presente nell’attuale linguaggio comune. La sua radice mitica indica un contesto specifico di ordinamento e localizzazione dello spazio precedente la prima sistematizzazione analitica di Aristotele, comunemente accettata e zoccolo duro della nostra tradizione. Questo quadro iniziale è tuttavia riconoscibile nello stesso filosofo greco.

Etica e politica s’identificano in Aristotele. Il singolo individuo non esiste fuori dalla comunità. Vive in un contesto politico regolato dalla medietas come equilibrio tra eccesso e difetto, che lo Stagirita idealizzerà nelle sue Etiche, in una realtà ormai demitizzata. Aristotele è il primo sistematizzatore del pensiero greco laico; con Platone si conclude, anche se in modo critico, la grande tradizione mitico-religiosa del pensiero antico. Platone critica il mito, ma fonda la mitologia in riferimento ai suoi concetti filosofici.

La medietas non offre valutazioni morali – estranee, dunque, alla mentalità greca – ma etiche, conformi all’attività dell’uomo costruttore per natura di comunità: la vera essenza dell’animale politico. Egli possiede la capacità di osservare (theorein) il contingente: considerare ciò che è buono per sé e per gli uomini. Aristotele lo chiama phronimos, il saggio fornito di prudenza che sa pre-vedere. La phronesis, capacità appunto di osservare, nel suo aspetto delle nomothetike  è il fulcro dell’etica, scienza architettonica, nomotetica, cioè assegnataria del nomos, quindi politica, in quanto fissa le norme dell’azione: il governo del luogo, polis nella sua massima espressione.

6) C. Schmitt, Il nomos della terra  nel diritto internazionale dello “jus publicum europaeum”(1974), tr. it. di E. Castrucci, Adelphi, Milano 2003, p. 54.

7) Ibid., p. 59.

8) Ibid., p. 65. Per il significato del termine nomos  si rimanda comunque al fondamentale lavoro di Carl Schmitt, in particolare ibid., pp. 54-77.

9) Solone fr. 3 Diehl.

10) M. Heidegger, lettera sull’“umanismo” (1949), tr. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1995, p. 90.

11) Euripide, Ecuba, 799-801.

12) Aristotele, Etica nicomachea, X 9.1180a21.

13) Il tema è ripreso recentemente in L. Sichirollo, Hegel e la tradizione. Scritti hegeliani, Guerini e Associati, Milano 2002, pp. 22-23.

14) Schiller, nel Saggio sulla poesia ingenua e sentimentale, descrive una filosofia della storia divisa in due periodi: antico e moderno. Nel primo l’uomo è natura e vi vive, è ingenuo. Il poeta antico descrive la natura che vede con una rappresentazione estetica, cioè reale. Il poeta moderno ha perduto la natura a causa di un distacco, quindi la desidera ardentemente e la cerca attraverso il sentimento. Il poeta moderno è sentimentale, ha perso la natura ma è più ricco di arte rispetto all’antico. Non rappresenta la natura che vede, ma il suo ideale; non offre la sua figura estetica ma quella morale.  Schiller parte dal mondo antico e arriva al sentimento romantico, al recupero con l’immaginazione di un mondo perduto: una natura da ritrovare attraverso l’arte.

15) Questo concetto emozionale e non razionale, formulato da Leo Frobenius, spiega l’origine dei paesaggi. È ripreso da Karl Kérenyi in Paesaggio e spirito: sottolinea il rapporto educativo del paesaggio, che spinge a creare opere. Anche Cesare Pavese – abbiamo visto – ha dato una spiegazione emozionale all’origine dei santuari. L’epifania rende un luogo sacro e circoscritto nel mondo: un santuario da tutelare. La stessa idea – che tra il cielo e il tronco potesse sbucare il Dio – svela il sogno di Giacobbe a Luz, che diventa un santuario con il nome di Bethel.

16) Siveda in questo senso l’editoriale di questo numero, oltre al precedente editoriale dedicato al vedutista veneziano, e al prossimo editoriale che apparirà sull’uscita n.6 della rivista.

17) Martin Schwind definisce bene l’essenza dei paesaggi e dell’ecoumene ge. Sono opere d’arte, uguali a tutte le altre, con una differenza: mentre un pittore dipinge un quadro, un poeta compone una poesia, un intero popolo crea il suo paesaggio.