Intervista a Marilù Manzini

a cura della redazione

Chi è Marilù Manzini?

Sono un’artista poliedrica i cui interessi e pratiche artistiche spaziano dalla pittura, scultura, fotografia, moda, gioielli, scrittura fino al cinema. Il mio stile è realistico, giocoso, ma va dritto a sondare emozioni profonde umane, come documentano l’ultimo film, Il quaderno nero dell’amore, che uscirà a settembre sulla piattaforma mondiale, e i 5 libri pubblicati, l’ultimo dei quali si intitola “La Cura della vergogna” mentre il 25 luglio uscirà “Obbligo e verità” che è un film audio, ossia un audiolibro 3.0, per cui come un film comprende rumori, musiche e attori.

Quando e come entra l’universo della pittura nella tua ricerca?

La pittura da sempre fa parte del mio mondo: già a dieci anni ho vinto un premio di 500.000 lire dall’Avis di Modena per un disegno. Successivamente, i due grandi amori della letteratura e della pittura andranno di pari passo e in alcuni casi, soprattutto nei primi quadri, immagine e scrittura si fondono come accade alla poesia visiva. Oggi l’una nutre e dà spazio all’altra, come avviene quando, impegnata alla stesura di un romanzo, divido la settimana lavorativa tre giorni dipingendo e altri tre scrivendo.

Cosa vuol dire per te la pittura?

Alla pittura riconosco un ruolo salvifico, memore di quando nel 2002, dopo esser stata molto male, grazie ad essa sono riuscita a trovare quelle energie vitali necessarie per uscirne. Infatti, “sono collegata con lo stomaco e l’anima al quadro” e non è possibile mentire dipingendo, cosa che non accade invece sempre con la scrittura.

Cos’è per te la scultura?

Mentre con la pittura mi trovo vis à vis con la tela, prediligendo il grande formato al piccolo, in scultura mi confronto con le dimensioni dei ready made.

Qual è l’habitat naturale da cui nascono i ready-made?

Talvolta piccoli gioielli, i ready-made nascono dall’assemblaggio di “objets trouvés” in mercatini, negozi di giocattoli o negozi dell’usato, i primi dei quali risalgono a intorno al 2005.

Cosa segnalano per te i reay-made?

Un gioco. Il procedimento, tuttavia, è il medesimo fin da quando, bambina, modificavo gli orologi Swatch tagliandoli per poi applicarvi delle perline o quando dipingevo le porte di casa, in un rituale in cui il gioco concettuale si esprime attraverso la manualità che, come per un alchimista, porta alla trasformazione degli oggetti originari in un terzo inedito, originale, talvolta inquietante oggetto (come emblematicamente rappresentato dall’Enigme d’Isidore Ducasse).

A cosa apre questa sperimentazione, alla dimensione dell’inconscio…?

No, io sono molto concettuale. Le mie opere hanno una componente ludica, concettuale e progettuale, tanto più faccio tutto a mano. Il contatto diretto con la materia è quindi componente essenziale del procedimento artistico, indelegabile, fenomeno che invece è diffuso presso altri artisti noti.

Che cosa vuol dire per te questo manipolare l’oggetto?

Attenzione, per me il ready made non è manipolare, è un assemblare, come in Duchamp, vuol dire mettere due significati insieme.

Entriamo nello scenario dei denti, come nascono?

La recente produzione imperniata sull’impronta dentale è nata dall’esperienza diretta di vita, una visita dentistica, ed è maturata nel corso di un anno, durante il quale l’idea di un ready made fortemente identitario riferito direttamente alla mia vita, quasi un prodotto da body art, ha mutato obiettivo mantenendo la valenza identitaria ma per parlare anche dell’Altro e dei suoi desideri.

Con questo assemblaggio delle scritte sui denti, cosa segnali?

Vi confluiscono le esperienze precedenti legate alla poesia visiva nel momento in cui singole lettere sono applicate sui denti (un richiamo forse ad alcune vanitas del XVII secolo con i teschi parlanti), e i riferimenti alla società consumistica e alle sue devianze sociali come il fashion victimism nel momento in cui lettere dorate richiamano noti brand di moda, o, come già previsto per il futuro, gli swarowski, impiegando volutamente un materiale brillante, prezioso (come quello cui è ricorso Damien Hirst per i suoi For the love of God nel solco di una dinamica creativa in cui l’aspetto ludico consiste anche in un aperto citazionismo). I “denti” aprono una nuova linea di ricerca incentrata sugli elementi anatomici di cui tuttavia non so ancora dove voglio arrivare.