Sentieri speculativi in competizione per “conoscere” la coscienza

Riccardo Panigada

Tra otto e novecento affiorarono da un grande fermento concettuale e contraddizioni le prime teorie della coscienza.

Una figura molto particolare fu quella di Henri Louis Bergson, che, pur avendo fondato una filosofia intuizionista, dimostra quanto istinto e intuizione possano andare d’accordo col pragmatismo, tanto da accattivarsi le simpatie dello stesso William James, il quale sotto l’influenza di Bergson rinuncia a vedere formalmente nella logica la possibilità di individuare la realtà ultima: la natura dell’esperienza, la concretezza, l’immediatezza, come dice lo stesso James vanno “oltre la nostra logica, sommergendola e circondandola”.

A prima vista potrebbe apparire strano che Bergson, sostenitore del metodo intuitivo, e, oltretutto molto abile in matematica, se la sia presa tanto con la teoria della relatività. Ma ciò è accaduto semplicemente per il fatto che si era troppo affezionato alla sua teoria del tempo, che, in termini assoluti (e non relativi se si perdona il contrasto terminologico), veniva sconvolta completamente dalla teoria della relatività.

Il contrasto tra Bergson e Einstein rivela quindi, in ultima analisi, un evidente frainteso, infatti dal punto di vista psicologico le teorie bergsoniane del tempo sono perfettamente plausibili, né Einstein ha mai preteso di fondare una “psicologia relativistica”, che risulterebbe assolutamente improponibile.

Il lettore intellettualmente benpensante (e che non avesse particolarmente a cuore i risultati raggiunti dalla fisica della relatività) potrebbe chiedersi a questo punto: ma se il metodo intuitivo-induttivo non si dimostra in grado di raggiungere spiegazioni plausibili circa l’origine del pensiero, perché dovrebbe venire tanto rivalutato, quando, senza il buon metodo analitico-deduttivo si sarebbe ancora fermi all’era pretecnica?

Proprio per partire da una considerazione sulla realtà oggettiva sotto gli occhi di tutti sulla terra si potrà allora osservare che l’industrializzazione, se ha prodotto ricchezza, ha anche provocato disastri di portata globale. Naturalmente ciò è avvenuto a causa di uno sviluppo non sufficientemente vigilato e disciplinato da metodiche compatibili (come va di moda dire “sostenibili”) col pianeta. Ma se tali programmi controllati di sviluppo non sono stati applicati per tempo, è proprio perché il metodo analitico-deduttivo, che pone in primo piano i risultati da raggiungere, e impone il percorso più breve come quello più “economico e razionale”, spesso rischia di oscurare valori e aspetti irrinunciabili, che sono profondamente quanto immediatamente percepibili solo attraverso la via della naturale sensibilità istintiva e intuitiva (basti pensare quanto sia istintivamente percepita la bellezza di un paesaggio e antintuitiva la possibilità di deturparlo).

Violet, black, orange, yellow on white and red -  Mark Rothko (1949)

Violet, black, orange, yellow on white and red – Mark Rothko (1949)

Ecco raggiunto quindi il nocciolo del problema: nell’intelligenza umana, siccome è lei la protagonista di questo articolo, sono residenti facoltà istintive-intuitive in grado di percepire con immediatezza gli elementi di conoscenza funzionali alla vita messi a disposizione dalla natura intorno all’uomo, e che per l’uomo hanno valore primario, finché non intervengano ragioni meno intuitive a negarlo.

Qualunque rimando al significato dei valori primari naturali può emergere dall’intelligenza umana unicamente sotto forma artistica, mentre la loro razionalizzazione li spoglia della valenza istintiva-intuitiva.

Perciò, volendo ricercare la natura della mente senza perderne il significato naturale, ovvero senza denaturarla, non crediamo sia possibile procedere unicamente sul binario del sistema analitico-deduttivo.

I padri dello studio della psiche sono Bergson, James, Freud e Jung: dal loro pensiero pragmatico e intuitivo sono nate le moderne idee di coscienza individuale e collettiva, che hanno radici comuni in archetipi la cui origine si confonde con quella biologica della filogenesi e dei più elementari assetti sociali.

Se all’origine dell’archetipo vi è il percetto, e il significato archetipale può essere integralmente trasmesso e fruito attraverso l’arte, e non mediante spiegazioni scientifiche, potrebbe essere che una delle vie maestre per rubare alla mente i segreti della sua natura cosciente, sia proprio quella che conduce attraverso il percorso istintivo-intuitivo.