Gino Masciarelli – il bestiario

video di Michele Piovesan testo critico Marco Marinacci

 

IL BESTIARIO

I vulcanologi conoscono bene quella forza struttiva della materia viva e pulsante che dalle viscere della terra sorge alla superficie e si solidifica in forme immediatamente riconoscibili, archetipi di un inconscio collettivo antico quanto il pianeta.

Quando quell’energia primitiva non riesce a liberarsi nel camino di un vulcano, si dimena e cerca le altre vie che le sono concesse nel mondo, che a volte è la fucina di un mastro fabbro. Lì un’altra forza uguale e contraria la domina, l’Arte, e insieme danno nuovamente vita a quelle forme arcaiche, primarie, provenienti da un lontano passato, comune a ogni uomo.

Forme che trovano una prima espressione ideativa in alcuni disegni, chiaramente preposti a darne l’impronta genetica, grazie alla quale l’anima mundi fa magicamente apparire al mondo il regno degli animalia.

Disegni essenziali, “preparatori”, perché espressione di una volontà che si precisa nel ricercare l’elemento archetipico di ogni specie, in un percorso quasi maieutico, di canone michelangiolesco, che tenta di far uscire dal pieno l’essenza della natura primigenia.

E’ allora che il segno grafico viene investito di una vocazione, ed ecco apparire il Bestiario, con tutta quella carica fideistica nel dominio della volontà divina sulla creazione, che apparteneva all’uomo dall’antichità più remota, fino all’evo di mezzo. Dopodiché l’uomo si è piegato al suo maggior peccato di ùbris, e mentre nascevano le perle del Rinascimento – non va dimenticato che la perla è la malattia della conchiglia – ha creduto fosse suo, il dominio del mondo e della natura.

Ma l’arte può anche essere salvifica: lo sapevano bene Caravaggio e Van Gogh, lo sa Masciarelli. Ecco allora che l’astrazione del disegno è riportata a una dimensione di natura grazie a un segno che torna nella natura del metallo, e nelle sintetiche sagome incise sulla lamiera di ferro, ne rivela l’essenza, attraverso un trattamento della superficie che toglie la freddezza legata al materiale inerte. E lo riporta a essere l’arcaico bozzolo intorno al quale si sono dipanate le prime tecniche con cui l’uomo ha maneggiato e dato forma alle proprie creazioni artistiche.

Poi il segno prende forma fisica, attraverso una chiara conquista della terza dimensione: una fascia modellata e saldata “a filo continuo” seguendo il profilo delle sagome animali, diventa pelle cucita addosso, abito nel mondo.

La saldatura è poi rifinita e pulita fino a rendere l’elemento luministico della patinatura, trattata a fuoco con un particolare processo a zolfo, e ultimata in ruggine, così da riportare il materiale al suo stato vitale, che implica l’invecchiamento e l’impermanenza. La tecnica allora, come lava dal vulcano, unita indissolubilmente al materiale da cui scaturisce, dà origine all’alchimia della creazione artistica. L’elemento ontogenetico delle sculture in ferro si ritrova così, magicamente, ad avere anima e corpo propri.

Ecco ora emergere alla vita le venticinque sculture del Bestiario, archetipi primari di un immaginario intuito dal talento creativo di Gino Masciarelli, e reso presente nel laboratorio del mastro fabbro Candeago.

Così, mentre la rinomata bottega di Cortina torna ancora una volta a essere l’antica fucina di un immaginario arcaico e comune, riverberando l’antica sapienza della tradizione tecnica artigiana, una lavorazione di carattere espressamente tattile, indispensabile per toccare e scoprire l’anima che si nasconde dietro all’apparenza prima, abbraccia con queste sculture il percorso poetico di un’intera esistenza. Masciarelli si forma nella bottega del padre, maestro forgiatore, che gli trasferisce per via di sangue l’amore per il metallo. Cresciuto poi nelle grandi fonderie d’arte, come quella dei fratelli Battaglia o quella ancor più celebre di Hermann Nöak a Berlino, dove entra in contatto coi grandi scultori e maestri del Novecento, da Henry Moore a Markus Lüpertz,  a Wilfredo Lam, il maestro teatino affina una tecnica estremamente personale e originale.

Diventa la spinta panica che muove alla creazione artistica, e nasce da un’attenzione per la natura e gli animali che fin dall’inizio imbeve l’opera di Masciarelli dell’elemento vitalistico. E infatti nella natura l’artista ha sempre ritrovato l’energia vitale: “di fronte a una cascata avverto il senso di sfida, dal vento attendo un messaggio, nei tronchi inclinati scopro la vertigine dell’animo”.

Il Bestiario diventa in questo modo componente magica, sacrale, del valore della vita in ogni essere, sogno panteista, sfida e unione insieme. Echeggiano sempre più sonore le parole “primitivo, primario, primordiale, ancestrale”. Ma risuona anche un monito, un richiamo al rispetto della vita in tutte le sue forme, chiaramente ravvisabile in quelle opere come Genesi e L’origine della vita, emerse in tutta la loro potenza evocativa già negli anni Settanta. Una componente animalistica che si risveglia “al fondo della materia oscura”,  avrebbe detto Johann Heinrich Füssli, e che attraversa anche la poetica più propriamente “umanata”, come è ravvisabile già nell’opera L’alba dell’uomo, del 1975,in cui la figura umana larvale, e in tutto quell’ineffabile ciclo scultoreo cui è dedicata l’intera Gipsoteca del maestro, a Solaro.

Masciarelli si scopre in questo modo, come già Marc Bloch, “animale predatore” sulle tracce dell’uomo, ed è per questo che si è deciso di presentare questa mostra  in un museo che parlasse proprio delle origini, delle tracce che l’uomo lascia nella storia. Una esposizione che intende però assumere anche il mandato educativo che l’arte pretende, come doveroso tributo al talento concesso in cambio, e si propone come rassegna di carattere conoscitivo del valore dell’essere e dell’abitare la Terra. Si è scelto poi l’abbraccio delle Dolomiti, insieme culla accogliente in cui far crescere il messaggio sotteso a questo ciclo artistico, e natura materna, conosciuta e amata negli anni grazie a una lunga attività di appassionato alpinista, ciclista e conoscitore di questi luoghi. Non si deve però pensare che il dialogo instaurato da Masciarelli col genius loci delle Alpi, discenda in qualche modo dall’idea umanisticamente vocata alla sfida, alla conquista della montagna, prettamente occidentale, che tocca vette assolute con Petrarca e Thomas Mann, ma letterarie, né abbia a che fare col fiducioso abbandono alla natura, come vorrebbe la filosofia zen, ma appartiene a un più personale, privato, antico senso di immersione nei luoghi della natura alpina.

Gli spiriti della montagna, incarnati quasi da sciamanici rituali, sono qui rappresentati da un nutrito gruppo di sagome-animali: il Pascolo, la Marmotta, lo Scoiattolo, gli Orsi, il Gufo, la Volpe, il Serpente, mettono in campo un corpo di danza che muove le proprie forme armoniose in una sonorità concertata col profilo delle montagne.

Anche l’ampio cromatismo che si scorge dalle vette alpine torna puntualmente nei sensibili disegni, traccia di un’attenzione tonale autonoma, ma assolutamente precisa, quasi otticamente perfezionata e riscontrata sul riverbero dell’aria adamantina d’alta quota. Uno specifico cromatismo che diventa segno. Ma qui entra in gioco l’idea stessa da cui parte questo ciclo: un’idea prettamente, e unicamente, scultorea.

Infatti, se si guarda con attenzione al disegno di uno scultore, ci si accorge che emerge un segno estremamente diverso da quello che può presentare lo schizzo di un pittore: mentre quest’ultimo delinea l’idea embrionale che già ha, il segno del secondo indaga, cerca, e appena afferra un’intuizione di forma, costruisce da subito un suo preciso valore luministico. E anche la striatura nei disegni policromi diventa altro, ritornando rigorosa nel martellamento della superficie scultorea: è la verificata decifrazione di un arcano alfabeto di natura.

Ecco allora apparire figure sintetiche, lineari, col profilo quasi “intuito”. Emerge prepotente il processo con cui Masciarelli dà corpo alla propria opera. Si coglie nella linearità di un’ombra “a piombo”, la perfetta “discesa” di un’idea platonica. E’ però poi, quella che ne deriva, una scultura “a pieni e vuoti”, che non ha alcuna intenzione nominalista, e se ne salva.

Perché è un’altra, la verità che emerge. Masciarelli racconta la storia dell’evoluzione, ma con sguardo acutissimo, nota che, mentre tutti gli animali si adattano al loro ambiente naturale, e diventano “specie”, ce n’è uno, in particolare, che si avvicina un po’ troppo all’uomo, e diventa “razza”: ecco che il cane non è più un cane, solo un cane, sempre un cane, come la rosa di Gertrude Stein, ma diventa un bassotto, un fox terrier, un labrador. E mette in guardia dalla natura umana, che trasforma la Natura a proprio piacimento.