XXI Secolo: il caleidoscopio del contemporaneo

di Marco Marinacci

Se la prospettiva è l’idea a priori che sostiene tutta l’arte occidentale moderna, quando entra nell’orizzonte del “contemporaneo”, appena superata la curva del tempo chiamata XIX secolo, quell’idea, che appariva così matematicamente definita e imperturbabile, sembra entrare in un gioco di specchi, che, prima, la ribalta, dirigendola anziché al mondo visibile, dritta all’interiorità umana – e siamo alla vertigine romantica – e, subito dopo, appena varcata la soglia del ‘900, la infrange in un prisma tanto perfetto, che potrà essere riconosciuto in un solido platonico¹, dando origine a una miriade di nuove visioni, precise e autonome, meglio conosciute come “avanguardie”.

Contaminazione 2 - Athos Collura (2011)

Contaminazione 2 – Athos Collura (2011)

Quindi, una volta varcato il confine labile del “con-temporaneo”, del “presente”, il dominio dell’immagine sembra farsi ancora più indefinito; ma, allo stesso tempo, diviene come trattenuto entro un orizzonte che si fa sempre più stretto e personale, quasi fosse un tubo ottico di continuo rimando di continuo a una nuova immagine, ogni volta un po’ più decentrata.

Non semplicemente un tubo catodico, ma una sorta di caleidoscopio, in cui le tante visioni collassano, quasi a formare una nuova unità, dal molteplice. Un’unità moltiplicata all’infinito: quella di cui oggi sembra essere diretta proiezione la “rete”. Un’idea che si forma ancora sulla grande linea genetica della prospettiva – senza di quella non sarebbe potuta nascere la fotografia, da cui il cinema, e infine tutti gli odierni mass media legati alla comunicazione visiva – ma che oggi deve molto anche ad altre formule del pensiero, ancora per gran parte da indagare.

Se, infatti, l’arte non è altro che “pensiero in figura”, come soleva ripetere Roberto Longhi, quello contemporaneo, nel corso del XX secolo, ha trasformato la figura via via con sé, e quando il pensiero è divenuto “irrazionale”, la storiografia artistica lo ha  definito “simbolista”; quando “esistenziale”, “espressionista”; quando “debole”, “relativista”, pur mantenendo sempre il visibile per soggetto². Fino all’attuale pensiero “liquido”, cui consegue, oltre al “crollo della mente”³, un’arte nello stesso segno.⁴ Formule aperte a ricerche di segno epistemico, spesso interdisciplinare, che riflettono la nuova universalità di indirizzi della ricerca, tanto artistica quanto scientifica.

Ricordo ad esempio un pezzo di Carmelo Strano, scritto in relazione alla poetica Scale dello scultore Gino Masciarelli, che acutamente notava: «Tra decostruzione e caos c’è una certa familiarità, non c’è dubbio, a dispetto di talune irriducibili distanze. Tra queste ultime ricorderei il rapporto razionalità e irrazionalità, essendo quest’ultima più propria del caos. Più propria, ma non assoluta. Per capire ciò basterà chiamare in soccorso il principio di selfsimilarity, o autosomiglianza, teorizzato da Benoit Mandelbrot⁵. Ora Masciarelli ha concepito queste Scale e ha messo a fuoco la loro poetica sulla base di un connubio tra il principio di “instabilità”, proprio dei decostruzionisti, e il principio di “Caos ordinato”, in cui ho inteso far confluire la complessa condizione del Frattale».⁶

In ogni caso, le formule di pensiero cui l’arte presente e futura dovrà adeguarsi, terranno sempre conto della lunga storia che attraversa i codici dell’immagine occidentale. Solo per dare il segno delle ampie ricadute, che, a breve investiranno nello specifico il campo disciplinare storico-artistico: – sia la sezione aurea (alla base di tutti i principi compositivi di ordine rinascimentale, e, per estensione, delle regole compositive dell’arte occidentale, e sorella in questo senso della prospettiva); – sia il numero di Avogadro (che riporta all’alfabeto del mondo naturale attraverso una serie infinita di esempi, e da cui derivano altrettanti innumerevoli poetiche, non ultima l’architettura organica), la serie di Fibonacci (all’uso che ne farà basti pensare a Merz, intuendo la contaminazione con le gamme di frequenze della luce a neon); – sia la matematica frattale, rispondono a un unico codice universale, al quale sembrano sottoposte le regole tanto del micro quanto del macrocosmo.

Come per chi si trova nell’occhio del ciclone, tutto fuori sembra continuare a ruotare intorno, quasi sempre il “contemporaneo” agli storici fa questo effetto: di trovarsi nel baricentro esatto di un cosmo che ruota su se stesso, mentre sulla volta del cielo vengono a fissarsi, come luminose costellazioni, le epoche passate, tanto che, al centro, proprio dove ci si trova nel momento dell’osservazione, il tempo sembra collassare su se stesso.

Ma a parte il senso di vertigine, sempre presente, quando l’asse rotatorio si sposta di un grado, come avviene nelle epoche di grandi mutamenti storici come l’attuale, la cosa più pericolosa è prendere bene le misure per fare il “salto” verso un’altra epoca. Perché, ovviamente, lo “stare al centro” non permette di decidere il momento opportuno di spiccare il “salto” (in termini antropologici, come è avvenuto nel passaggio tra Medioevo e Umanesimo). Ma come per i naviganti, anche gli storici dell’arte hanno le loro stelle, e sono molte quelle che oggi sembrano essersi fatte più brillanti.

La stella Polare, in questo caso, è sempre l’immagine che l’uomo dà di sé. A parte la Moda, che diventa terreno sempre più fertile su cui cimentarsi, anche per l’arte, la porta di accesso al dialogo col mondo globalizzato (dal consumo, ma anche e soprattutto da codici culturali riportati ai loro minimi comuni denominatori), resta quella che è stata il grande terreno di confronto dell’arte occidentale per tutto il XX secolo: la psicanalisi. Se Renè Huyghe nel 1939 poteva affermare senza incertezze che “L’arte è per la storia della comunità ciò che il sogno di un uomo è per lo psichiatra”, la rappresentazione della figura umana⁷ nel presente è venuta sempre più a convivere non solo con i territori dell’onirico, ma anche dell’alterità, e dell’alienazione.⁸

E, in questa ulteriore dimensione rappresentativa, è entrato  da protagonista il cinema, a tutti gli effetti opera d’arte così come intesa dalla tradizione classica.⁹ Basti pensare (in chiave meridionale) alla cosiddetta trilogia dell’incomunicabilità di Michelangelo Antonioni¹⁰, apparsa tra il 1960 e il 1962, con i film L’avventura, La noia e L’eclisse, che rappresenta il giro di boa della linea narrativa e drammatica dell’arte occidentale  (mentre in chiave nordica si deve guardare a Bergman).

Ma Cinema vuol dire Tempo. A partire dalla cronofotografia, che apre all’epoca delle avanguardie. E poi Macchina. In una contemporaneità sempre più “fisica”, in cui entra sulla scena l’oggetto macchina da presa.

Ecco allora che la narrazione, prima tenuta sul piano attraverso la prospettiva, viene destrutturata e ricomposta in piani-sequenza, carrellate, fino alle scene d’inseguimento d’antologia, una fra tutte quella de La conversazione. E poi ancor più, un nuovo occhio, che viene a sostituire il celeberrimo occhio di Monet: quello del Grande Fratello.

Se si può certamente convenire con Marina Scognamiglio che “L’arte figurativa dei secoli XIX e XX ci consegna una visione dell’uomo trasfigurata rispetto all’immagine tradizionale affermatasi dall’età rinascimentale in poi, questa radicale trasformazione affonda le sue radici nella crisi che attraversa l’epoca contemporanea, a partire dalla seconda metà del settecento, e, che, secondo lo storico dell’arte Hans Sedlmayr, è da imputarsi a quella che lui stesso definisce perdita del centro”¹¹, ed è vero anche che sono gli stessi codici dell’immagine a essere rimessi in gioco.

Così, come il doppio volto della alienata e alienante società postmoderna (non potrebbe essere altrimenti, dato che si guarda da punti d’osservazione totalmente opposti: il primo, interiore, insegnato dalla psicoanalisi, e oggi da molte altre discipline orientali, mentre il secondo, eteroflesso, che fissa l’istantanea – o il fluire, se in streaming – di un’immagine sempre più superficiale) è perfettamente tracciato dall’arte cinematografica, che fa apparire dietro quel volto un’anima sempre più confusa e sfuggente, i codici dell’immagine subiscono una revisione totale.

E riappaiono in opere che li catafraggono, o li sostituiscono, o ancora li cancellano, come nella perfetta puntuale rassegna di Athos Collura, che dal periodo psichedelico, a quello della fotografia anamorfa, alla serie dei Codex, crea un abaco pittorico, in questo senso “primario” e irrinunciabile, del contemporaneo.

Note

1) Flavio Caroli lo definisce un icosaedro, ne “Il Volto dell’Occidente”, Mondadori, Milano, 2012.

2) Ossia tutta quell’arte, che da Picasso a Bacon, viene definita ancora realista, pur avendo un grado di trasformazione della realtà visibile che passa principalmente attraverso la categoria del Relativismo. Si fa qui riferimento al concetto di “pensiero debole”, espressione coniata nel più ampio contesto generale del Relativismo, introdotto dai filosofi Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti per indicare il mutamento che a partire dalla metà del XX secolo ha interessato il modo stesso di intendere la filosofia. Questo mutamento, introdotto in primis da Friedrich Nietzsche e Martin Heidegger, deriva in particolare dal superamento di concetti che la tradizione filosofica occidentale riteneva fondamentali. Vattimo riconduce l’indebolimento del pensiero all’indebolimento dell’essere, il che, se vogliamo trovare il parallelo nell’arte, è quello che porta naturalmente alla perdita della prospettiva “reale”, ricondotta ad una prospettiva di natura “mentale”, come avviene ad esempio nel Cubismo (rimandiamo per una più ampia disamina al saggio n.10).
Rovatti aderisce invece al pensiero fenomenologico introdotto da Enzo Paci, che guarda all’indebolimento del soggetto, e trova una naturale corrispondenza nella deflagrazione e perdita del soggetto umano, come avviene lungo tutto il XX secolo, da Soutine a Fautrier, da Bacon a Hirst.

3) Formula utilizzata per definire la forma di pensiero della società postmoderna.

4) Si può naturalmente pensare alla liquefazione della figura umana, come avviene in Lucian Freud, ma anche in termini più indiretti, a tutta l’arte che deriva dall’utilizzo di tecnologie che adottano una qualsiasi forma di supporto, o memoria, artificiale (che dall’apparizione dell’espressione “memoria dell’acqua”, viene considerata il sostituto diretto della mente umana). Senza dimenticare il ruolo che compete ai meccanismi di fruizione dell’arte contemporanea: la trasmissione attraverso l’etere, ovvero la rete e le relative tecnologie collegate.

5) Il padre della teoria dei frattali.

6) Dal testo Caotiche Scale, di Carmelo Strano, scritto in occasione della mostra Scale presso il Palazzo Ducale di Massa (MS).

7) Ne traccia la linea genetica la Storia della Fisiognomica, di Flavio Caroli.

8) Rinviamo al suggestivo saggio di Giorgio Fazio, Il doppio volto dell’alienazione. La nuova teoria critica di Rahel Jaeggi.

9) A questo proposito si attende una revisione radicale anche in ambito disciplinare.

10) Tra l’altro tra i primi autori a trasferire il cinema in “pittura”, con Il mistero di Oberwald, e lo studio attentissimo dei codici dell’arte, così come i puntuali riferimenti all’iconografia contemporanea, primo tra tutti Morandi.

11) Marina Scognamiglio, tesi di laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, sul tema L’uomo e l’oggetto.