Quel bosone che dà valore all’arte…
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Generalmente non lo si pensa, prevalentemente perché chi non sia scienziato, artista, o filosofo, difficilmente ne ha consapevolezza. Ma quando ci si trovi ad affrontare le problematiche basilari più profonde della conoscenza – come ha rilevato Guido Tonelli* nel suo libro “La nascita imperfetta delle cose” – si è soli. E non nel senso attenuato traducibile nella locuzione “ci si sente soli” bensì si è soli.
Qualcuno potrebbe obbiettare che l’uso del plurale contrasti con il concetto di solitudine… non è così: il plurale è d’obbligo in quanto al mondo ci sono numerosi veri scienziati, filosofi, artisti (sebbene rappresentino una piccolissima percentuale di umanità), ma ciascuno di essi, quando si confronta direttamente con il proprio campo investigativo viene preso dal fuoco sacro della ricerca come dall’angosciante sconforto dovuto al fatto di doversi misurare, armato unicamente del proprio pensiero e delle proprie conoscenze, con gli interrogativi più ardui da affrontare: quelli dietro ai quali il mistero della risposta da almeno tremila anni restano intatto, pur stimolando continuamente la ricerca, che faticosamente riesce a sottrarre a quel mistero veli sempre più sottili che lo proteggono, e, che, una volta rimossi, aprono ulteriori insospettabili scenari…
Anche a molte persone colte non è familiare tale condizione, poiché, per conoscerla veramente, non è sufficiente essere grandi esperti di vasti campi disciplinari, ma bisogna appunto confrontarsi direttamente anche con la ricerca di base.
Ma ecco le testuali parole di Tonelli: “Siamo una strana pattuglia di moderni esploratori. Il nostro scopo è di capire da dove nasce questa meraviglia di universo materiale che ci circonda e di cui facciamo parte. Siamo quelli che la gente chiama scienziati. Truppe speciali della conoscenza che l’umanità manda in avanscoperta a capire come funziona la natura. Menti elastiche, curiose, prive di pregiudizi e pronte ad accogliere ogni sorpresa, consapevoli che – per costringere il mondo nelle nostre categorie mentali – occorre liberarsi di ogni residuo di senso comune, e avventurarsi in territori ignoti. Ai confini della conoscenza ti ritrovi da solo, in un mondo in cui riecheggiano soltanto le intuizioni dei poeti e le voci dei pazzi. Sono gli unici esseri umani che, come noi, non hanno paura di perlustrare luoghi sconosciuti. Per questo li sento vicini. In un certo modo mi fanno compagnia, perché sono coraggiosi, amano il rischio, non temono di portare la mente vicino a quel confine che è necessario esplorare per capire davvero qualcosa di noi e del mondo che ci circonda. Anche noi, come loro, siamo funamboli che corrono sul filo senza gancio di sicurezza”.
Ma non molti artisti si occupano oggi di inquisire la loro arte in parallelo alla scienza: non si tratta solo di illustrare in forma evocativa o sistematica le immagini della scienza, ma di sperimentare, come appunto osserva Tonelli, quanto gli scienziati quella particolare loro stessa solitudine alla ricerca delle origini.
Nel Ventesimo secolo il “principio di tutte le cose”, quell’arché cui l’uomo occidentale dà la caccia da 2600 anni, e, che, forse, più correttamente di ogni altro presocratico, Anassimandro ha individuato nell’assenza di confini spaziotemporali del suo àpeiron, si è inchinata al pensiero di Einstein, ottenendo alcune declinazioni del suo manifestarsi nel linguaggio della fisica moderna mediante concetti aporetici per il limitato umano intelletto, quali quello di spaziotempo, e quello della coincidenza tra materia ed energia.
L’indagine deve pertanto necessariamente spostarsi: se crollano i concetti classici di spazio e di tempo sotto i colpi della fisica della relatività, minando la fiducia nella nostra facoltà di percepire, resta ancor più profondamente misteriosa l’origine di quella materia costitutiva solo del 4% dell’universo (tutto il restante 96% è costituito da materia oscura ed energia oscura), che, in ogni caso, è l’unica alla quale possiamo accedere con qualche “consapevolezza”, appartenendo anche noi a essa.
A Gianni Brusamolino, che da qualche anno vive nella sfida di interpretare in arte quanto avvenne prima del principio (un fisico direbbe oltre l’orizzonte degli eventi), quale debba essere il modus operandi è ben chiaro.
Prima del principio possono esserci solo forme che precedono l’estetica, ma, se l’arte non può prescindere dalla percezione, la sfida sarà quella di trasformare in estetica qualcosa che può essere solo puro pensiero, esattamente come è stato puro pensiero quello sintetizzato in una formula fisica nelle menti di Higgs e di François Englert , prima che il rilevatore di un acceleratore di particelle strapotente come l’Lhc generasse il segnale che prova l’esistenza sperimentale di quell’evanescente sublime bosone, il quale ha catalizzato quella spontanea rottura della simmetria che ha dato origine alla materia dell’universo a noi nota.
“Oggi l’arte vive una grande crisi di contenuti, temo che gli artisti di oggi non guardino con sufficiente interesse alla scienza interiorizzandone la valenza che ha determinato un cambiamento tanto profondo del mondo negli anni del più recente passato, e che ancor maggiormente si attende che lo faccia nell’imminente futuro – osserva Brusamolino – per quanto mi riguarda sono almeno dieci anni che non posso invece fare a meno di inventare la mia arte guardando alla fisica contemporanea come la chiave per inquisire l’essere fisico e metafisico alla luce del nostro tempo. Penso che gli artisti debbano essere interpreti del proprio tempo: per me non è certo un luogo comune, ma un principio irrinunciabile per avere valore, in senso umano, culturale e civile, e quindi nel senso più completo del termine valore”.
(*) – Il fisico che ha guidato una squadra formata da centinaia di scienziati di tutto il mondo alla conferma degli esperimenti che hanno mostrato l’esistenza del bosone di Higgs.
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