Arte d’Oriente, Arte d’Occidente: un ponte teso nell’era della globalità

di Flavio Caroli

Quando nel 2006 fu pubblicato “Arte d’Oriente. Arte d’Occidente” (nota 1) era ancora vivissima l’immagine delle due colossali statue dei Buddha di Bamiyan, distrutte il 12 marzo 2001 dai talebani, ai quali era affidata la memoria millenaria di civiltà perdute, ma ancora in dialogo col presente grazie a quel “pensiero in figura” che l’arte rappresenta. Come comprese immediatamente l’Unesco, che nel 2003 le inserì, insieme all’intera zona archeologica circostante e al paesaggio culturale, nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanità, con un progetto che ne prevede la ricostruzione, pressava l’urgenza di riflettere su quali ponti la storia gettasse tra civiltà, perché quella contemporanea potesse risultare più consapevole del grande patrimonio di cui doveva farsi custode e interprete.

Da quella ricerca scaturì un’ipotesi che oggi, a più di dieci anni di distanza, trova conferme sempre più solide: le grandi montagne del pensiero che hanno dominato per millenni il mondo si sono trasformate in fiumi, e oggi si riversano nel grande oceano della globalità.

Cedendo temporaneamente a una logica europeocentrica, e per darci un punto fermo, facciamo partire la nostra indagine dal momento in cui si rompe l’unità della più imponente struttura politico-amministrativa dell’Occidente antico, che si identifica con l’Impero Romano. A Roma, e in generale in tutto l’Impero d’Occidente, sopravvive una lingua figurativa “di verità”.

Figura 1.
Figura 1.

Ciò accade già nel 300 ca. d.C. Figura 1, allorquando l’immagine di un pastore, già utilizzata per simboleggiare la benevolenza e la filantropia nell’arte classica pagana, si lega alle parole di Cristo: “Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la vita per le pecore”. Ciò accade nella programmatica ripresa classica dell’epoca di Carlo Magno, come dimostrano le sante in grandezza superiore al naturale, di alta e severa eleganza, scolpite, probabilmente verso il 770, in Santa Maria in Valle a Cividale. Figura 2 Ciò prende corpo e fisicità, agli inizi del XII secolo, con la scultura romanica di Wiligelmo (nota 2). Ciò trova una dimensione ormai moderna nell’educazione romana di Giotto (nota 3), il quale, per via di “verità” figurativa, diventa il precedente fatale di Masaccio (nota 4) e del “naturalismo” fiorentino.

ra 1. Il Buon Pastore, 300 d.C., Città del Vaticano, Museo Pio Cristiano, Musei Vaticani
1. Il Buon Pastore, 300 d.C., Città del Vaticano, Museo Pio Cristiano, Musei Vaticani

Nell’Impero romano d’Oriente le cose vanno in modo totalmente diverso. Dopo la morte di Teodosio, nel 395, la frattura potenziale fra le regioni occidentali e orientali dell’impero viene accentuata dalla loro divisione politica tra i due figli del sovrano scomparso. L’impero orientale rimane ricco e intatto, mentre quello occidentale comincia a franare sotto le crescenti aggressioni di popoli dell’Europa settentrionale e centrale. Roma viene saccheggiata dai Visigoti nel 410 (a Bisanzio l’evento è vissuto con assoluta indifferenza), poi viene ancora messa a ferro e fuoco dai Vandali nel 455; infine, nel 476, insieme al resto d’Italia, cade nelle mani di un re barbaro, Odoacre, il quale a sua volta viene sconfitto da Teodorico (poi defunto nel 526), re degli Ostrogoti.

E’ questo il momento in cui Ravenna – città-ponte per antonomasia fra Oriente e Occidente – diventa la più importante città italiana, un ruolo che le spetterà fino alla metà dell’VIII secolo. Dal 402 al 455 è capitale – dopo Milano – dell’Impero romano d’Occidente, poi è sede del potere ostrogoto e della corte romanizzata di Teodorico, infine ospita i viceré bizantini, dopo la riconquista dell’Italia, nel VI secolo, da parte delle truppe di Giustiniano. Da questo momento può essere considerata la longa manus in Occidente di Costantinopoli.

Per capire la diversa evoluzione del pensiero figurativo, romano-occidentale e di quello bizantino basta confrontare, a poche decine di metri di distanza, due distinte fasi dei capolavori musivi ravennati. Il Mausoleo di Galla Placidia è il più antico edificio della città adriatica che conservi ancora tutti i suoi mosaici. In origine era unito a una chiesa fondata da Galla Placidia, figlia di Teodosio, e, come madre dell’imperatore Valentiniano, imperatrice d’Occidente dal 425 al 450, anno della sua morte. Sopra la porta principale, una lunetta a mosaico raffigura il Buon Pastore, in un paesaggio che certamente si ispira alla pittura pompeiana, cioè “”romana”.

2. Tre sante, 770 ca., Cividale, Santa Maria in Valle
2. Tre sante, 770 ca., Cividale, Santa Maria in Valle

Le rocce in primo piano hanno la funzione “giottesca” di scandire lo spazio, e di offrire all’immagine una solida base. La profondità è segnata dalla pecora di scorcio, dalla posa avvitata del Buon Pastore, perfino dall’allusione atmosferica del cielo azzurro che si incupisce verso lo zenith. La “verità” è inseguita e descritta dalle flebili pianticelle che animano un paesaggio asciutto e roccioso, amato, secoli dopo, da Gustav Klimt. “Realtà” dunque; scena sacra ambientata in un paesaggio pacato, limpido e credibile.

Pochi metri più in là, un secolo dopo, in piena cultura bizantina, il coro della basilica di San Vitale viene rivestito da alcuni dei più bei mosaici che si conoscano. Emblemi. Astrazioni ieratiche. Ogni minima porzione di spazio scintilla dei colori più rari: verde e oro brillante, azzurri marini, vampe improvvise di scarlatto e di porpora, e ovunque tocchi di bianco, per dare luce, con una tecnica in fondo non lontana da quella del “puntinista” ottocentesco Seurat.

Tanto grandiosa, ma controllata, magnificenza, assume nella parte inferiore dell’abside le forme della corte dell’imperatore bizantino Giustiniano (527-565) e di sua moglie Teodora, raffigurati con il loro seguito mentre portano offerte all’altare. Giustiniano è accompagnato dalla sua guardia del corpo, munita di uno scudo con il monograma Chi-Rho, da funzionari e da tre ecclesiastici, uno dei quali è Massimiano, vescovo di Ravenna negli anni in cui viene completata la chiesa. Le teste sono indagate con una tale precisione da suggerire l’ipotesi che si tratti di ritratti ispirati a persone realmente esistenti. Invece, la raffigurazione dello spazio è volatile, evaporante. Tutto vive nella bidimensionalità. I piedi di Giustiniano sono dietro al vescovo, ma il suo manto è davanti a lui. Ogni figura di questa processione alta e divina guarda, di fronte a sè, l’immobilità dell’infinito. Abbiamo superato di poco il 540, e in qualche modo è già nata l’arte astratta.

Tale tendenza all’astrazione incontra naturalmente, fatalmente, il tema dell’iconoclastia. Attenzione, perchè questo tema, o questo rovello, o questo enorme interrogativo, si rivelerà risolutivo per il destino, non solo artistico, del mondo intero.

3. Vasilij Kandinskij, Primo acquerello astratto, Parigi, Musée National d'art moderne
3. Vasilij Kandinskij, Primo acquerello astratto, Parigi, Musée National d’art moderne

La storia porterà frutti giganteschi e imprevedibili. Sarà infatti la cromosomica iconoclastia dei russi a creare, nel XX secolo, l’arte astratta. La pittura occidentale, verso il 1910, corre lungo un Rubicone che divide la figuratività dall’astrazione. Picasso, in questi mesi già potenzialmente “astratto”, fiuta l’aria e, da spagnolo terrestre e “romanico”, compie un poderoso balzo indietro, che lo porterà addirittura a inseguire le radici della classicità. Kandinskij, russo e iconoclasta, come si racconta, un giorno abbozza un paesaggio, poi esce dallo studio, e quando torna, vedendo il quadro rovesciato e allagato di forme otticamente non riconoscibili, pensa: “va bene così”. Figura 3 Lo spirito iconoclasta ha accettato la “non figuratività”. E’ nata l’arte astratta, alla quale, poco dopo, darà altri contributi decisivi l’iconoclasta per eccellenza: Kazimir Malevic.

Con lui, si chiude un periplo meraviglioso e gigantesco. Il “pensiero in figura” occidentale, con l’Impero romano, è emigrato a est, dove ha quasi negato se stesso per forza di spiritualità, o di spiritualismo; ma poi il prodotto di tale mutazione (diciamo genericamente, l’arte bizantina), tornato in Occidente, con Kandinskij e Malevic, ha messo a frutto la propria visionarietà creando un’arte “astratta” e non rappresentativa, o non iconica, che diventa uno dei grandi fiumi in cui si manifesta l’anima occidentale.

A un secolo di distanza altri fiumi sono stati guadati, e in mezzo gettati molti ponti, a unire le diverse visioni che abitano questo pianeta – prime tra tutte quelle appartenenti al mondo dell’arte – come testimoniano i sempre più numerosi progetti curatoriali congiunti tra nazioni, uno fra tanti quello che nell’ottobre 2018 ha visto per la prima volta tutte le accademie di belle arti italiane collegarsi alle “sorelle” cinesi nella VII Biennale internazionale di fotografia a Jinan, città natale di Confucio e perciò scelta dalla Cina come baluardo della propria cultura visiva.

Come a dire: il mondo vuole ponti, non torri! Alla grande muraglia e alla Babele linguistica si preferisce l’arco del dialogo, e quello “a tutto sesto”, insegna Leonardo, racchiude in sé l’Uomo.

Note:

1) Flavio Caroli, Arte d’Oriente. Arte d’Occidente. Per una storia delle immagini nell’era della globalità, Mondadori Electa, Milano, 2006.

2) Si prendano ad esempio le Storie della Genesi, nel particolare della Creazione di Adamo ed Eva e il peccato originale, datate XII secolo, nel Duomo di Modena.

3) Ancora accesa è la diatriba tra sostenitori dell’autografia di Giotto nelle Storie di San Francesco nella Basilica Superiore di Assisi, e detrattori, con un’ipotesi di ascrizione al romano Pietro Cavallini, che aprirebbe la questione della paternità della pittura moderna italiana, appunto ravvisabile in quel linguaggio di verità tipico dell’età augustea. Certa è invece l’attribuzione a Giotto del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova, del 1304-1306, in cui è comunque indubitabile la cifra realista, rispetto alla pittura costantinopolitana della vicina Venezia.

4) Pensiamo alle Storie di San Pietro, nella Cappella Brancacci, in Santa Maria del Carmine a Firenze.

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